FUR - Un ritratto immaginario di Diane Arbus

Copperfield

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Titolo originale: Fur: an imaginary portrait of Diane Arbus
Nazione: U.S.A.
Anno: 2006
Genere: Drammatico
Durata: 122'
Regia: Steven Shainberg
Sito ufficiale: www.furmovie.com
Cast: Nicole Kidman, Robert Downey Jr., Jane Alexander, Harris Yulin, Courtney Taylor Burness
Produzione: Edward R. Pressman Film Corporation, River Road Films
Distribuzione: Nexo

Buon film di Shainberg, attento alla fotografia come alla storia. C'è una dichiarata deviazione dalla vita della Arbus, che nel film si ritrova a vivere una storia d'amore finalmente appagante e liberatoria che le permette di essere se stessa, scevra da tutte le imposizioni che in qualche modo l'hanno costretta in un matrimonio e in una famiglia non sua.
Il resto (la condizione familiare, la ricerca continua del "diverso", l'affrancamento professionale e sentimentale dal marito) è molto fedele alla vera Arbus che, nel 71, chiuderà la sua vita con un suicidio.
Bella regia, coinvolgente nonostante il lento incedere dei tempi. La progressiva apertura della protagonista all'amore a alla condizione di "diversità" (ma chi è giudica diverso cosa? E chi? E' tutto molto relativo!) avviene con dolcezza e con i tempi giusti, proprio come quando si scarta con cura un cioccolatino, del quale si assapora il rumore della carta e i primi effluvi del cioccolato.

Ottima la Kidman, bravissimo - nonostante la "copertura" - Downey Jr.


***
 
Il regista di Secretary, Steven Shainberg, segue una strada coerente dopo il film che nel 2002 ha trionfato al Sundance. O almeno ci prova. Come recita il sottotitolo, Fur è un ritratto immaginario della celebre ritrattista per foto, Diane Arbus, interpretata con la solita grazia da Nicole Kidman. Non è male l'idea di immaginare in libertà — sebbene ispirandosi alla biografia di Patricia Bosworth — le varie suggestioni che potrebbero aver spinto la fotografa delle "Identical Twins" ad intraprendere il suo percorso.

Per farlo, la sceneggiatura di Erin Cressida Wilson inventa una figura maschile, il Lionel di Robert Downey Jr., che fa per la sua protagonista quello che il personaggio di James Spader faceva in Secretary. Il suo arrivo nel palazzo di Diane e la sua malattia (è ricoperto da un folto pelo) sveglieranno e riempiranno di naturalezza la curiosità di lei, moglie e madre devota ma soffocata, per l'effetto disvelativo delle stranezze fisiche.

Sebbene possa risultare stucchevole il suo minimalismo liberal-chic, non si può negare che Shainberg abbia buone intuizioni. Qui riesce in una certa misura a mostrare come gli occhi della Arbus vedano nelle piccole imperfezioni del quotidiano lo spazio per ritrarne di meno ordinarie al fine di portare allo scoperto il disagio del soggetto che le osserva: un sopracciglio, peli nelle tubature, ospiti che addentano cibo. C'è spazio per una lettura psicanalitica cui la Kidman presta il volto con la stessa dedizione con cui si era prestata in Birth.

Parte invece debole del film è il fatto che si voglia dar sfogo ad una relazione amorosa fra Lionel e la protagonista, quando sarebbe stato meglio lasciare tutto inespresso e sottinteso. Questo perché, oltre alla sciatteria della scrittura in questa fase, fino alla definitiva svolta romantica Downey Jr. aveva reso molto bene lo strano fascino della figura, cui del resto erano già attaccati richiami alti alla Bestia, al Fantasma dell'Opera, assieme a quello ad Alice nel paese delle meraviglie che vedeva la piccola Diane spiare il proprio inconscio da una porticina.

**½
 
Ultima modifica:
Sì, bella l'idea e bello l'inizio "disturbante", ellittico e surreale con il quale si vuole esprimere la diversità della Arbus rispetto alla società conformista, pastello e sterilizzata dell'America degli anni '50.
Peccato che queste buone intenzioni, e lo sforzo di una messa in scena metaforica e surreale, si semplifichino ben presto nel far sflilare una carrellata di freaks, e nel tramortire lo spettatore con un’insistita citazione di Alice (il coniglio bianco, la chiave, la porticina, la pozione – “drink me” – eccheccacchio, abbiamo capito) fino all’esplicitazione palese (avrà temuto che a qualcuno potesse sfuggire) di Lionel che legge Alice ai figli della Arbus.

Come se il solo ricorso al paratesto letterario potesse miracolosamente risolvere il problema di una resa cinematografica.
Peccato perchè – cinematograficamente – il film prometteva di più.
**
 
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