checo
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...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà
Italia, 1981 | Genere: orrore | Durata: 86 minuti
Trama
In una città della Nuova Inghilterra una ragazza cerca di riattivare un albergo semidistrutto che ha ricevuto in eredità. Ma l'albergo è costruito su una delle sette porte dell'inferno. Gli abitanti dell'aldilà non gradiscono molto questa convivenza e mandano un esercito di zombi a invadere la città.
Regia
Lucio Fulci
Cast
Catriona MacColl: Liza Merril
David Warbeck: dottor John McCabe
Cinzia Monreale: Emily
Antoine Saint-John: Zweick
Veronica Lazar: Martha
Al Cliver: dottor Harris
Michele Mirabella: Martin Avery
David Warbeck: dottor John McCabe
Cinzia Monreale: Emily
Antoine Saint-John: Zweick
Veronica Lazar: Martha
Al Cliver: dottor Harris
Michele Mirabella: Martin Avery
Critica
Alla sua uscita il film non fu molto apprezzato dalla critica cinematografica, come d'altronde quasi tutti i film di Fulci.[1]
Il Corriere della Sera attaccò duramente il film, sostenendo: «Il primato il film lo tocca solo nello stomachevole. E siamo sinceri: a tale livello è più tollerabile la pornografia».[13] La Repubblica scrisse: «Il risultato è quello del solito teatrino del macabro interpretato da personaggi scontati».[14]
Tullio Kezich sottolineò la «banalità dei contenuti e il cattivo gusto sanguinolento», ma salvò «una scrittura filmica efficace e persino elegante».[15]
Soltanto negli ultimi anni, in Italia le riviste dedicate al cinema di genere, come Nocturno, hanno rivalutato il film. Nocturno scrive: «L'aldilà non va visto, va "vissuto". Schegge di grande cinema (si pensi alla prima apparizione di Cinzia Monreale in quella highway deserta e annebbiata) si fondono con furibonde cavalcate nel purulento, marcescente, universo dello splatter tanatologico, di cui Fulci resta maestro incontrastato».[16]
Antonio Tentori ha scritto: «Con L'aldilà Fulci riesce a realizzare quell'horror estremo, libero, totale e coinvolgente che più rappresenta lo spirito vero dell'autore».[2]
Per Paolo Albiero e Giacomo Cacciatore il film è «un vero e proprio incubo filmico basato sui canoni della casa infernale. Fulci realizza quello che è da molti ritenuto il suo capolavoro, di certo la sua opera più visionaria, sovversiva ed estrema».[1]
Fulci definì il suo film "artaudiano", da Antonin Artaud, il celebre commediografo francese che teorizzava il teatro della crudeltà. Fulci dichiarò: «Il messaggio che cercavo di comunicare è che la nostra vita è un terribile incubo e che l'unica via di fuga è nascondersi in questo mondo fuori dal tempo. Alla fine del film i protagonisti hanno questi occhi privi di vista e c'è questo deserto senza luce, senza ombre, senza vento... il nulla assoluto. Credo di essermi avvicinato a ciò che gran parte della gente pensa dell'aldilà».[17].
Il Corriere della Sera attaccò duramente il film, sostenendo: «Il primato il film lo tocca solo nello stomachevole. E siamo sinceri: a tale livello è più tollerabile la pornografia».[13] La Repubblica scrisse: «Il risultato è quello del solito teatrino del macabro interpretato da personaggi scontati».[14]
Tullio Kezich sottolineò la «banalità dei contenuti e il cattivo gusto sanguinolento», ma salvò «una scrittura filmica efficace e persino elegante».[15]
Soltanto negli ultimi anni, in Italia le riviste dedicate al cinema di genere, come Nocturno, hanno rivalutato il film. Nocturno scrive: «L'aldilà non va visto, va "vissuto". Schegge di grande cinema (si pensi alla prima apparizione di Cinzia Monreale in quella highway deserta e annebbiata) si fondono con furibonde cavalcate nel purulento, marcescente, universo dello splatter tanatologico, di cui Fulci resta maestro incontrastato».[16]
Antonio Tentori ha scritto: «Con L'aldilà Fulci riesce a realizzare quell'horror estremo, libero, totale e coinvolgente che più rappresenta lo spirito vero dell'autore».[2]
Per Paolo Albiero e Giacomo Cacciatore il film è «un vero e proprio incubo filmico basato sui canoni della casa infernale. Fulci realizza quello che è da molti ritenuto il suo capolavoro, di certo la sua opera più visionaria, sovversiva ed estrema».[1]
Fulci definì il suo film "artaudiano", da Antonin Artaud, il celebre commediografo francese che teorizzava il teatro della crudeltà. Fulci dichiarò: «Il messaggio che cercavo di comunicare è che la nostra vita è un terribile incubo e che l'unica via di fuga è nascondersi in questo mondo fuori dal tempo. Alla fine del film i protagonisti hanno questi occhi privi di vista e c'è questo deserto senza luce, senza ombre, senza vento... il nulla assoluto. Credo di essermi avvicinato a ciò che gran parte della gente pensa dell'aldilà».[17].
Approfondimenti
Inizio discussione: Lunedì 8 maggio
Voti espressi:
Andry10k: 9
Np293: 5
checo: 8
Heel93:7
Alex89 7.25
Media aritmetica:7.25
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