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The final cut

ERCOLINO

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Di Copperfield

COPPERFIELD ha scritto:
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Il Chip della Zoe è un impianto, collocato nel cervello del bambino alla sua nascita, che registra l’intera vita di una persona. Quando si muore, tutte le riprese relative alla propria vita, vengono montate in una "Rememory", un filmato assemblato da un montatore, e mostrato durante una cerimonia commemorativa. Alan Hackman è il migliore "montatore" in questo business e la sua capacità di garantire l'assoluzione a clienti spesso corrotti, lo ha reso il più richiesto in questo campo. Un giorno, mentre sta montando una "Rememory" per un alto funzionario della Zoe Tech, Alan scopre un’immagine della propria infanzia che da sempre lo perseguita. Questa scoperta lo porterà a compiere una frenetica indagine alla ricerca di verità e redenzione. (Fonte FilmUp)

Mi aspettavo qualcosa di meglio da questo "Taglio finale"; trama tutto sommato abbastanza lenta e superficiale, finale prevedibile e piuttosto scialbo. Thrilling poco presente ma costruzione logica ben congegnata.
Da premiare l'originalità dell'idea; raggiunta la sufficienza ma un pò stiracchiata.

**
 
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In One Hour Photo, Robin Williams spiava le vite degli altri attraverso le loro foto e nascondeva nella sua ossessione i traumi infantili; in The Final Cut crea dei film celebrativi di vite attraverso i ricordi dei defunti stessi, anche qui ritrovando in uno di essi un episodio indelebile, forte ed opprimente, che riaffiora violento dal passato. La memoria e la sua registrazione su supporto fisso, la sua manipolabilità e sfocatezza, tornano e rimandano vagamente a Strange Days e, per altri versi, a The Butterfly Effect. Il film di debutto di Omar Naim è pieno di quei temi etici che tanto si addicono alla fantascienza ed è apprezzabile il loro innesto: per quanto a volte scada un po' nello spicciolo (come nello sfogo della sempre meravigliosa Mira Sorvino), il centro di dubbio del film è incentrato più sui dilemmi del protagonista che sugli cori esterni dei protestatori anti-Zoe, favorendo il Williams drammatico che continua ad esser convincente. Il prologo fa decollare tutto e trova un suo buon completamento nelle scoperte successive, in linea col ritmo interno della narrazione scandita dalla fotografia di Tak Fujimoto (Il silenzio degli innocenti, Philapelphia, Signs); più fiacca è la parte finale, che porta alla luce qualche assunto iniziale un po' azzardato e risulta una chiusura incompiuta, che del resto lascia tali i temi chiave stessi.

Voto: **
 
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