Le crociate di Ridley Scott è il tipico film per il quale ci sono tanti motivi per esser tentati di buttarlo via con stizza quanto altrettanti per farselo piacere. Il mio giudizio si basa sulla visione della versione cinematografica di 145', prescindendo dunque in toto dal (a quanto leggo, migliore) Director's Cut di 195'.
La sceneggiatura è di William Monahan (la sua prima), che è stato anche il diligente ri-adattatore dello script di Infernal Affairs versione Scorsese lo scorso anno. Sul suo materiale la mano di Scott in realtà non ce la fa ad essere molto decisa: al contrario del lavoro tecnicamente inappuntabile di Scorsese, Scott non riesce a dare unità al suo stile e la farragine cui assistiamo non copre dunque bene un copione che, rispetto a quello amanuensemente ripassato a penna e inchiostro di The Departed, è un pelino più lontano dal waterproof. Più che necessità espressive (per essere originali: incontro-scontro di civiltà, con relativo clima e "feeling") il motivo (il problema) è forse nel montaggio forzato a tagliare molto, e nella fotografia indecisa di John Mathieson (Il gladiatore).
Ma se i problemi e le titubanze non mancano (parlando di qualcosa di futile: il protagonista Orlando Bloom è un can d'attore posto in mezzo a comprimari del calibro di Liam Neeson, Jeremy Irons, David Thewlis, Edward Norton e Brendan Gleeson; quanto ad Eva Green, finora ha dimostrato solo di esser dannatamente graziosa), Le crociate è il film imperfetto con un suo perché. In molti gli han rimproverato la morale programmatica, ma se c'è qualcosa da non disprezzare è appunto il suo esser portatore di un "messaggio" politico (sfacciatamente contemporaneo, evvivadio) tutt'altro che banale o volgarmente espresso.
Lungi da me voler lodare il "messaggio" in quanto tale. Ma in un periodo in cui pellicole come il 300 di Snyder si affacciano sull'universo multiplex con inquietanti lapsus fascisti mascherati da elogio neutro della lotta per difendersi da equivoci dittatori del vicino oriente, una riflessione sul dato primitivo che è il messaggio un senso ce l'ha, e forte. Ben venga dunque un condottiero che semina per raccogliere, che fa un passo indietro, che imbraccia la spada per deporla, anche se ha la faccia di Bloom. Ben venga la maschera di pindarica commozione dell'eroe desolato ma imponente di Edward Norton, re saggio di Gerusalemme. Come esempi di pacifismo sono tutto fuorché anodini.
**½