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La febbre

gahan

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25 Febbraio 2004
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Dopo Casomai, film imperfetto ma davvero interessante specialmente nel nostro panorama nazionale, era lecito attendersi cose buone dal nuovo progetto di Alessandro D'Alatri in accoppiata con Fabio Volo. «Se l'invidia fosse febbre, tutto il mondo ce l'avrebbe»: è la frase da cui trae il titolo questo film con grandi ambizioni, ritratto che vorrebbe essere anomalo della ricca ed appartata provincia italica (siamo in quel di Cremona). E dato che parliamo d'invidia/febbre, il ritratto non è lusinghiero. Mario (Fabio Volo) è un giovane che si ritrova, grazie ad una spintina del defunto padre (Cochi Ponzoni) concretizzatasi con molto ritardo, ad avere il "posto fisso", ormai sempre più miraggio per i suoi coetanei, in Comune; deve ancora laurearsi in architettura e sta per metter su un locale con gli amici, del quale è progettatore. Deciso o costretto a mettersi a posto e godere della nuova occupazione, abbandona il pizzetto e si mette in giacca e cravatta facendo felici gli amici (che attendono bramosamente l'ora di veder arrivare l'autorizzazione per il locale) e la mamma con cui vive. Poi arriva come un lampo Linda (Valeria Solarino), l'amore, e lui cambia senza accorgersene portando tutto, complice l'ambiente esterno ingrato, allo sfascio. Un film giocato sull'ambito intimo, del protagonista così come di alcune figure secondiarie leggermente meglio sviluppate (il collega di Vittorio Franceschi in primis), e, a fatti avviati, su una riflessione a tratti sognata, a tratti poetica, sull'Italia e le sue mediocri falsità: Volo immagina che il presidente della Repubblica Arnoldo Foà arrivi nel suo locale a bere birra (rigorosamente nazionale) e la prima cosa che vuol fare è riconsegnargli la carta d'identità, perché lui vuol essere solo Mario. Un'italietta con gli amiconi delle bevute (che voltano le spalle), della mamme che preparano il caffé (e poi non hanno a genio la ragazza), della burocrazia degli incompetenti invidiosi e lecchini; intorno a Cremona c'è la campagna ed è lì che finirà la pellicola, col ritorno, unica risposta orgogliosa dell'uomo retto ed incompreso, al miglior mondo bucolico (classico dei nostri poeti, le cui tombe vediamo allineate figurativamente) e il ricongiungimento amoroso. Con per unica colonna sonora i Negramaro (ben nove brani inseriti, seguendo un intento unitario ma a nostro avviso decisamente stancante e ripetitivo), D'Alatri tira su con La febbre una pellicola scostante, piena di superfluo, con troppi cali narrativi e deviazioni infelici, per di più scontata e moralista. [TV-ZONE]

Voto: *
 
Ultima modifica:
simpatica rappresentazione della vita di provincia e credibile affresco delle difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro dei giovani d'oggi: a casa per troppo tempo, senza ragazza per troppo tempo, senza lavoro per troppo tempo, e con il rischio di aggrapparsi a sogni o progetti di difficile realizzabilità.
L'insoddisfazione si palpa perfettamente, anche se viene condita da situazioni a volte grottesche, altre più comiche.
Bravo Volo, ma bravi anche tutti gli altri.

A margine: una delle commedie italiane più noleggiate ed apprezzate del 2005.

***
 
Assai deludente. Sceneggiatura e regia senza anima che tenta di spacciare per originale un film che sembra una (noiosa) fiction televisiva (inclusa la recitazione) intervallata da sequenze cinematografiche d'autore. Peccato che i meccanismi narrativi, le prospettive e le inquadrature "originali" siano una copia di altri maestri e risultino in realtà fuori luogo nel contesto, ulteriori divagazioni e forzature ad una sceneggiatura già evanescente di suo. Un'ora e un quarto di pura noia, con un finale (dopo la febbre..) tecnicamente guardabile, seppur scontato e moralista. Pellicola inutile, tempo sprecato.
*
 
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