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Mediaset mette il digitale terrestre all'asta e l'unione insorge

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Mediaset mette il digitale terrestre all'asta e l'unione insorge

Notizia inviata Mercoledì, 18 Gennaio 2006 alle ore 10:50 da Loris
La decisione di Mediaset di applicare il dettato della legge Gasparri che impone a chi possegga più di un multiplex, di cedere a terzi parte degli "slot" attraverso una democraticissima gara, non è stata apprezzata da chi contesta da sempre all'azienda di Cologno Monzese l'abuso di posizione dominante.
Motivo della contesa è proprio la messa all'asta dei canali, lo stesso criterio utilizzato in Inglilterra, paese dove la vendita aveva consentito di ricavare tra i 2 e i 12 milioni di sterline. «Noi in Italia, possiamo stimare attualmente un prezzo variabile tra i 3 milioni e mezzo e i 5 milioni di euro all'anno» aveva dichiarato (in un'intervista a Alessandra Mieli, ndr) Federico Di Chio, responsabile dei progetti per il Digitale Terrestre di Mediaset.
Non si è fatta attendere la replica di Vincenzo Vita, ex sottosegretario delle Comunicazioni nella precedente legislatura, sempre molto attento a tutto quello che gira intorno al digitale terrestre «Mediaset si deve rendere conto che le frequenze radiotelevisive sono un bene pubblico, che appartengono allo Stato, come le piazze e i monumenti. Il fatto che la legge dica che queste vadano date a terzi, non significa che il cedente deve trasformare la cosa in ulteriore occasione di profitto, ma che deve semplicemente restituire ciò che non gli appartiene. Non è lei che deve fare la gara, deve essere l'Autorità, che ora deve intervenire immediatamente».
Anche più forte la posizione di Fiorello Cortiana, senatore dei Verdi: «Nessuna delle decisioni di questo governo accade per caso, né nell'ambito della Giustizia, né per ciò che riguarda gli aspetti di rendita delle posizioni di Mediaset, sia per il consolidamento della posizione nell'analogico, sia nel digitale, con la legge Gasparri, per estendere questa rendita, invece di aprire la possibilità di un campo aperto per nuovi produttori» e quando abbiamo ricordato che comunque questa storia è partita da una legge voluta dal centrosinistra, il senatore ha concluso che «formalmente può essere vero e non lo discuto. Ma la legge Gasparri è stata quella che ha dato corpo allo sviluppo del digitale, e questa legge è stata seguita passo passo dagli uomini di Mediaset. Io stesso, ho potuto vedere persone del mondo Mediaset seguire e dare giudizi sul dibattito politico della Gasparri, giudizi che poi vedevo replicati nel dibattito parlamentare dai politici del Polo».
Di Chio, a sostegno dell'operato di Mediaset, ha precisato che «il regime normativo attuale prevede che noi si possa costruire delle reti digitali (legge 66/2001), è il quadro grazie al quale si possono costruire i multiplex. Gli operatori, sono quindi sì autorizzati a comprare e vendere frequenze, ma poi sono obbligati a cedere ad operatori terzi il 40% della capacità trasmissiva. In ultimo, vi sono due delibere dell'autorità che disciplinano le linee guida per l'assegnazione a terzi» E alle accuse di fare ulteriori profitti con un bene che dovrebbe essere demaniale risponde: «Lucrare? Guardi che noi abbiamo costruito una rete pagandola, fino ad oggi abbiamo speso circa 400 milioni di euro. Se potessimo tenercele sapremmo utilizzarle, ma la legge ci obbliga cedere a terzi il 40 % e noi ci adeguiamo. Vorrà che si possa almeno recuperare parte degli investimenti fatti? Ripeto: chi acquisterà queste frequenze pagherà 3-4 milioni l'anno invece di 150 subito più i costi di manutenzione. Come si fa a dire che ci lucriamo?». Insomma un problema non da poco, perché se da una parte è innegabile che la messa in opera e la manutenzione dei Multiplex ha dei costi che un'azienda, specie se quotata in Borsa, ha il dovere di recuperare in ogni modo, dall'altra gli importi richiesti, per quanto bassi per il cedente, sono improponibili per qualsiasi nuova realtà si voglia affacciare alla tecnologia digitale, per cui il risultato finale sarebbe quello che queste frequenze, alla fine, potrebbero rimanere in mano ai pochi soliti noti che si possono permettere altri investimenti. E quanto sia complessa la materia del dirimere ce lo ricorda Davide Giacalone, che una legge sulle tv l'ha realizzata «le frequenze radioelettriche sono un bene di tutti, ed è naturale e giusto che siano utilizzate, a fini di lucro, da imprenditori privati. Data la loro limitatezza, al contrario della larga banda, quel che conta è la legge che ne disciplina l'uso. Una legge c'era e, ristudiando la materia, non sarà difficile capire quale fu il vero scandalo: la non applicazione della legge 223 del 1990, l'affossamento del piano d'assegnazione delle frequenze. Stiamo ancora pagando quell'errore». Senza contare che, alla fine, Mediaset e Telecom potrebbero fare i reciproci "terzi". Esiste una norma che proibisce a Telecom di comprarsi le frequenze Mediaset e viceversa?

Fonte della notizia:
http://www.sat-net.org/cgi-bin/coranto/iSay.cgi?Page=Comments&ID=20060130500777363184
 
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