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Casa de los Babys

gahan

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25 Febbraio 2004
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Questo film di John Sayles non è ancora stato distribuito in Italia dopo due anni dalla sua uscita; la vita gli è dura non solo da noi, ma almeno altrove hanno la bontà di dargli un'opportunità... Entrare in un film di Sayles è entrare in un universo racchiuso spazialmente nel quale la visione progressivamente si allarga grazie alla meravigliosa lente multifocale che svela i personaggi e, con loro, tutto il resto. Sayles penetra il mondo che di volta in volta si sceglie e riesce ad intingerlo di spunti e suggestioni di natura personale e culturale raggiunti senza indottrinamento o violenza argomentativa: ogni volta troviamo una ricchezza ed un'onestà silenziosa ed integerrima. C'è da imparare, sia per noi come pubblico che per altri come registi. Stavolta sono sei donne, cinque americane ed un'irlandese che vive a Boston, ad essere il centro della pellicola, ma inevitabilmente c'è molto di più: ad aprire sono i bambini nei loro lettini, l'infermiera che ne tiene uno in braccio e lo culla cantando. Poi ecco il primo personaggio laterale ma importantissimo di Asunción (Vanessa Martinez), una giovane ragazza che deve badar da sola al suo fratellino ed alla sua sorellina. Inizia tutto in una mattinata qualunque, con lei che dopo aver preparato la colazione esce di casa per andare a lavorare come cameriera nella Casa de los Babys, un hotel in una zona non specificata del Messico specificamente dedicato alle donne americane in attesa di avere in adozione bimbi locali. Molte di loro rimangon lì per mesi prima che le carte legali diano il via libera - o perché, forse, fa tutto parte di un gioco per spulciar loro più soldi... - e così è per le sei che impariamo a conoscere nelle loro conversazioni: parlano - ed anche sparlano, speculando le rispettive vite che rimangono in gran parte oscure - le une delle altre e parlan di sé stesse e delle loro speranze ed ansie, celando anche segreti. Questa è la Casa de los Babys, ed apparirebbe esser un luogo di servizio per "imperialiste che vengono a comprare i nostri bambini", come urla il figlio marxista della Señora Muñoz (la forte Rita Moreno), mondo chiuso eppure comunicante col resto. Perché i loro figli da adottare vengon da quella terra e son lasciati da ragazzine come la triste quindicenne che vediamo prendere accordi assieme alla madre. Ma ci sono anche i tre che vagano per la città e finiscon per dormire sulla spiaggia sotto le stelle, senza una casa; come dice la Muñoz al figlio, è sempre meglio che i ragazzini finiscano nelle mani delle "gringos" piuttosto che per strada. La recitazione, come sempre nei film di Sayles, è superba da parte di tutto il cast, sia quello anglofono che quello spagnolo. I dialoghi si dividono quasi al minuto fra le due lingue, a significare allo stesso tempo la lontananza e la vicinanza fra i due lati; come dice Leslie (Lili Taylor) a Gayle (Mary Steenburgen) mentre guardano un talk-show locale, non serve parlare la stessa lingua per capire, perché la stupidità è la lingua universale. Fra gli scambi più belli e toccanti c'è quello fra l'atletica Skipper (Daryl Hannah) e la ricca Jennifer (Maggie Gyllenhaal), quando la prima racconta delle sue tre tristi gravidanze. All'apice emotivo, Eileen (Susan Lynch) condivide con Asunción le immagini del giorno di neve che nel futuro spera di trascorrere con la figlia; Asunción non capisce molto, ma capisce quel tanto che basta perché si apra e, in spagnolo, racconti della sua bambina Esmeralda che ha dovuto anche lei abbandonare alle suore e dare in adozione al "Norte". Immaginandola ora, prega che la sua nuova mamma sia simile ad Eileen: nessuna capisce di preciso cosa dica l'altra, ma di certo entrambe capiscono cosa l'altra prova tanto che, alla fine del film, la piccola di Eileen si chiamerà Esmeralda. Il finale è aperto, non si chiude nessuna vera storia: si inizia con i bambini e con i bambini si chiude, con speranza ed anche l'amaro di un rituale che sembra destinato a ripetersi. Senza giudizi o colpe addossate a qualcuno; solo l'animo dello spettatore che viene a provare compassione e compartecipazione verso entrambi gli estremi del mondo. Un altro grande film, ignobilmente ignorato.

Voto: ****
 
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