
Quando si dice che un film è talmente stupido da essere irresistibile, la frase è un complimento. Ma in realtà è una menzogna, ignora il procedimento curativo di scoperta generato da quell'istinto di ilarità apparentemente bislacca. In Anchorman —che appartiene allo stesso lignaggio comico di Dodgeball, Starsky & Hutch e l'inarrivabile Zoolander (i nomi che circolano sono sempre gli stessi)— ci si trova a ridere di trivialità, e non si sa se ci si debba vergognare. È una banalità che ci sembra molto familiare.
Ambientato in una rete locale di San Diego negli anni '70, il film è un concentrato di motivetti femministi ed anti-femministi dentro uno studio televisivo. Cos'è lo studio televisivo di un telegiornale? È il posto di lavoro che più di ogni altro deve convivere con quello che succede nel mondo (che esso stesso contribuisce a formare) e camuffarlo con la sua facciata. Ron Burgundy (Will Ferrell) ed i colleghi maschi, stolti al pari e più di lui, sono facce rassicuranti ed orgoglio dell'America di mezzo, che ha standardizzato la colazione del mattino e le news delle 6pm. Ron non ha qualità intrinseche: sa leggere il teleprompter e sa ammiccare alle casalinghe. Il modo in cui si vanta della sua persona, sicuro dell'appoggio di chi (volontariamente e quasi con orgoglio, forse per proteggersi dalla propria mediocrità) continua a cascarci, ricorda le imitazioni di Bush sempre ad opera di Ferrell —o il vero Bush direttamente, se è per questo: da un momento all'altro sembra voler chiedere, nel mezzo di termini che non conosce o inventa di sana pianta, «Are you having burritos for lunch?».
Il fatto di risalire all'epoca d'oro del femminismo, richiamata con precisione nelle acconciature, nel vestiario e nell'arredo, è una rete di sicurezza, al riparo della quale il film può divagare nel modo più sgargiante in sketch fenomenali (il combattimento fra le testate della città, in cui rispuntano fuori i compari Ben Stiller, Vince Vaughn e Luke Wilson, più Tim Robbins, è portentoso) e nel contempo mantenere un livello medio di comicità che gioca in un ambiente altrettanto irreale ma vero, con una mirandola di battute più o meno allusive («Mr. Burgundy. You have a massive erection», «Oh, uh, yes: I do»).
Pure risate, ma la mente che c'è dietro (sceneggiatura dello stesso Ferrel col regista Adam McKay) sembra avere una naturale capacità di interfacciare una grossolanità di stile (nella quale non si può fare a meno della fisicità dei protagonisti: Anchorman non esiste se i baffi finti non sono sulla faccia di Ferrell; Dodgeball non esiste se i baffi finti non sono sulla faccia di Stiller) con un retrogusto fattuale (portare ad apoteosi quello che già fa ridere di suo, sotto la pomposità con cui si atteggia: impresa fra le più improbe) che ne è il vero genio.
**½
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