
Non abbiamo mai digerito l'Oscar sfuggito a Bill Murray per Lost in Translation: la sua faccia dopo che Nicole Kidman ha annunciato il nome di Sean Penn anziché il suo sembrava quella di uno che non avrebbe mai più avuto nulla in cui sperare. Invece il gioiello di Sofia Coppola non era il coronamento ultimo di una grande persona che aveva ormai svoltato carriera dopo esser stato un ottimo attore comico, bensì una nuova veste nella quale continuare a ricercare ruoli e progetti altamente ispirati: così, dopo The Life Aquatic di Wes Anderson, quest'uomo di mezz'età ha trovato Jim Jarmusch ed i suoi fiori rosa. Ma quel che più conta e stupisce è che ogni personaggio non è la copia dell'altro, non è semplicemente la noiosa replica di Murray: le silenziose sfumature che la sua grande sensibilità di interprete riesce a regalare si aggiungono alla ricchezza proveniente dai soggetti e dagli autori che li han generati. Uno splendido viaggio fantastico, stralunato ed imbarazzato, che parte da un abbandono, una lettera e con essa dalle paure in cerca di una precaria sicurezza verso quattro fermate a trovare altrettante vecchie fiamme. Il viaggio di auto-conoscenza identitaria cresce pian piano d'intensità ed arriva ad un finale che ne racchiude tutta l'ironia e l'amarezza.
Voto: ****
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