08 febbraio 2007
La recente proposta di legge del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni riguardante il sistema radio-televisivo italiano ha sollevato negli scorsi giorni non poche polemiche, una tra le tante quella che riguarda il balzello di quasi cinque euro (4,40 per la precisione) del canone Rai, ribattezzata non a caso "la tassa più odiata dagli italiani".Perché di tassa, di fatto, si tratta, tassa sul possesso o almeno così stabilisce il regio decreto legge n.246 del 21 febbraio 1938, decreto secondo cui chi possieda uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione dei programmi televisivi deve pagare il canone di abbonamento TV. Trattandosi di un'imposta sul possesso o sulla detenzione dell'apparecchio, il canone deve essere pagato indipendentemente dall'uso del televisore o dalla scelta delle emittenti televisive. La norma molto recentemente ha fatto discutere per l'orientamento della Rai a far pagare il canone anche su pc e video-telefonini. Sulla questione il Fisco non si è ancora pronunciato in via ufficiale ed è ancora dubbio se il possesso di un pc debba configurare un presupposto di imposta in quanto potenzialmente garantisce la possibilità di accedere ai servizi di Web TV. Secondo lo studio di consulenza legale Romano la risposta sarebbe negativa (NON BISOGNA PAGARLO) in quanto, "pure ammettendo che anche il pc sia un dispositivo adattabile a ricevere radioaudizioni, musica e film. Occorre poi riconoscere che esso è prevalentemente dedicato ad altre funzioni: lavorare, chattare e perché no fare il caffè o scrivere lettere d'amore. In altri termini, anche se un PC è equiparabile ad un televisore il suo possesso non impone il pagamento dell'abbonamento Rai. A conferma di ciò anche l'orientamento della Corte Costituzionale, che considera il canone una imposta riferita al semplice possesso, appunto , di un televisore".Tuttavia ricordiamo, a onor di chiarezza, che alcune sentenze della corte (Sentenza Corte Costituzionale n. 284 del 26/06/02 - Sentenza Corte di Cassazione del 03/08/93 n. 8549) confermano la norma secondo cui "il canone deve essere corrisposto da chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo". Quindi la partita rimane ancora aperta.Intanto continuano ad aumentare gli episodi di cronaca riferenti casi di "persecuzione burocratica", come quelli denunciati recentemente da Adiconsum. E'il caso di una ragazza modenese di 25 anni, che si è rivolta all'associazione consumatori della Cisl: "Tre anni fa la ragazza in questione - spiega il responsabile di Adiconsum Angelo Ferrari Valeriani - è andata a vivere da sola ma, anche se può sembrare inusuale, non ha mai avuto, né tantomeno acquistato, un apparecchio televisivo. Due anni fa l'Urar Tv di Torino le ha scritto chiedendole il pagamento del canone Rai. La ragazza ha comunicato per iscritto che, poiché non possiede la tv, non intendeva pagare. Lo stesso è accaduto l'anno scorso: nuovo sollecito Urar, nuova lettera di risposta. Quest'anno l'ente le ha scritto per la terza volta, e la ragazza ha deciso di chiedere la nostra assistenza". Valerani ha allora telefonato al numero abbonati della Rai per chiedere spiegazioni. L'operatrice del call center gli ha risposto che la vicenda della ragazza modenese era ben nota, ma che occorreva una terza dichiarazione di non possesso della televisione. Adiconsum consiglia ai non possessori di tv di rispondere solo alla prima richiesta di pagamento del canone e invece di ignorare i solleciti successivi. L'Urar Tv (ora Sat, sportello abbonamenti Tv) comunque può sempre mandare un ispettore a verificare la situazione. "Chi, invece, ha il televisore, deve pagare il canone anche se tiene spento l'apparecchio o non apprezza la qualità dei programmi Rai. Per quanto possa sembrare odioso, il canone Rai è una tassa di possesso, come il vecchio bollo auto. Pertanto il pagamento è obbligatorio". Un altro caso quello di un abitante della cittadina ligure di ponente Borghetto Santo Spirito che si è trovato a dover pagare due volte il canone perché durante un controllo la ricevuta del primo pagamento è risultata "sbiadita".Vada che il canone di abbonamento rappresenta la principale fonte di finanziamento del servizio pubblico chiarsce l'Adusbef, ma "è ingiusto e sbagliato far ricadere sui cittadini le scelte sbagliate del consiglio di amministrazione della Rai. Questa è una tassa di possesso istituita quando il mercato televisivo era totalmente diverso e che oggi non ha motivo di esistere". Un apparecchio televisivo, poi, permette di ricevere il segnale anche di altre emittenti che non chiedono alcun contributo ai cittadini per permettere loro di vedere programmi che, se visti, già solo il fatto di guardarli porta a tali emittenti un introito considerevole.Per non parlare del referendum votato dagli italiani nell'11 giugno 1995 con maggioranza degli aventi diritto al voto che prevede "l'abrogazione della noma che definisce pubblica la Rai e la sua privatizzazione". Proprio per questo il dubbio che grava sulla tanto odiata gabella è più che legittimo: essendo la Rai ente di diritto privato non è legittimata a far pagare i cittadini per un servizio pubblico che pubblico più non è. In quanto invece tassa sul possesso non si capisce perché vada pagata alla Rai e non vada spartita su tutte le emittenti.E intanto dalla Rai non si scappa.
fonte msn
La recente proposta di legge del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni riguardante il sistema radio-televisivo italiano ha sollevato negli scorsi giorni non poche polemiche, una tra le tante quella che riguarda il balzello di quasi cinque euro (4,40 per la precisione) del canone Rai, ribattezzata non a caso "la tassa più odiata dagli italiani".Perché di tassa, di fatto, si tratta, tassa sul possesso o almeno così stabilisce il regio decreto legge n.246 del 21 febbraio 1938, decreto secondo cui chi possieda uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione dei programmi televisivi deve pagare il canone di abbonamento TV. Trattandosi di un'imposta sul possesso o sulla detenzione dell'apparecchio, il canone deve essere pagato indipendentemente dall'uso del televisore o dalla scelta delle emittenti televisive. La norma molto recentemente ha fatto discutere per l'orientamento della Rai a far pagare il canone anche su pc e video-telefonini. Sulla questione il Fisco non si è ancora pronunciato in via ufficiale ed è ancora dubbio se il possesso di un pc debba configurare un presupposto di imposta in quanto potenzialmente garantisce la possibilità di accedere ai servizi di Web TV. Secondo lo studio di consulenza legale Romano la risposta sarebbe negativa (NON BISOGNA PAGARLO) in quanto, "pure ammettendo che anche il pc sia un dispositivo adattabile a ricevere radioaudizioni, musica e film. Occorre poi riconoscere che esso è prevalentemente dedicato ad altre funzioni: lavorare, chattare e perché no fare il caffè o scrivere lettere d'amore. In altri termini, anche se un PC è equiparabile ad un televisore il suo possesso non impone il pagamento dell'abbonamento Rai. A conferma di ciò anche l'orientamento della Corte Costituzionale, che considera il canone una imposta riferita al semplice possesso, appunto , di un televisore".Tuttavia ricordiamo, a onor di chiarezza, che alcune sentenze della corte (Sentenza Corte Costituzionale n. 284 del 26/06/02 - Sentenza Corte di Cassazione del 03/08/93 n. 8549) confermano la norma secondo cui "il canone deve essere corrisposto da chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo". Quindi la partita rimane ancora aperta.Intanto continuano ad aumentare gli episodi di cronaca riferenti casi di "persecuzione burocratica", come quelli denunciati recentemente da Adiconsum. E'il caso di una ragazza modenese di 25 anni, che si è rivolta all'associazione consumatori della Cisl: "Tre anni fa la ragazza in questione - spiega il responsabile di Adiconsum Angelo Ferrari Valeriani - è andata a vivere da sola ma, anche se può sembrare inusuale, non ha mai avuto, né tantomeno acquistato, un apparecchio televisivo. Due anni fa l'Urar Tv di Torino le ha scritto chiedendole il pagamento del canone Rai. La ragazza ha comunicato per iscritto che, poiché non possiede la tv, non intendeva pagare. Lo stesso è accaduto l'anno scorso: nuovo sollecito Urar, nuova lettera di risposta. Quest'anno l'ente le ha scritto per la terza volta, e la ragazza ha deciso di chiedere la nostra assistenza". Valerani ha allora telefonato al numero abbonati della Rai per chiedere spiegazioni. L'operatrice del call center gli ha risposto che la vicenda della ragazza modenese era ben nota, ma che occorreva una terza dichiarazione di non possesso della televisione. Adiconsum consiglia ai non possessori di tv di rispondere solo alla prima richiesta di pagamento del canone e invece di ignorare i solleciti successivi. L'Urar Tv (ora Sat, sportello abbonamenti Tv) comunque può sempre mandare un ispettore a verificare la situazione. "Chi, invece, ha il televisore, deve pagare il canone anche se tiene spento l'apparecchio o non apprezza la qualità dei programmi Rai. Per quanto possa sembrare odioso, il canone Rai è una tassa di possesso, come il vecchio bollo auto. Pertanto il pagamento è obbligatorio". Un altro caso quello di un abitante della cittadina ligure di ponente Borghetto Santo Spirito che si è trovato a dover pagare due volte il canone perché durante un controllo la ricevuta del primo pagamento è risultata "sbiadita".Vada che il canone di abbonamento rappresenta la principale fonte di finanziamento del servizio pubblico chiarsce l'Adusbef, ma "è ingiusto e sbagliato far ricadere sui cittadini le scelte sbagliate del consiglio di amministrazione della Rai. Questa è una tassa di possesso istituita quando il mercato televisivo era totalmente diverso e che oggi non ha motivo di esistere". Un apparecchio televisivo, poi, permette di ricevere il segnale anche di altre emittenti che non chiedono alcun contributo ai cittadini per permettere loro di vedere programmi che, se visti, già solo il fatto di guardarli porta a tali emittenti un introito considerevole.Per non parlare del referendum votato dagli italiani nell'11 giugno 1995 con maggioranza degli aventi diritto al voto che prevede "l'abrogazione della noma che definisce pubblica la Rai e la sua privatizzazione". Proprio per questo il dubbio che grava sulla tanto odiata gabella è più che legittimo: essendo la Rai ente di diritto privato non è legittimata a far pagare i cittadini per un servizio pubblico che pubblico più non è. In quanto invece tassa sul possesso non si capisce perché vada pagata alla Rai e non vada spartita su tutte le emittenti.E intanto dalla Rai non si scappa.
fonte msn