Film crudo e validissimo, oltre che coraggioso, tratto dal libro di Roberto Saviano.
Non semplice reportage o - come va di moda - docufiction, ma vero ottimo cinema, le tante storie che si alternano senza mai veramente intrecciarsi sono tessere di uno stesso mosaico, "coerenti" pur senza essere collegate, tutte con gli stessi codici di riferimento, la stessa matrice: vite senza alternative di chi è condannato dalla nascita, per il solo fatto di essere nato “lì” piuttosto che altrove; senza valori e senza punti di riferimento, nemmeno quelli del clan o della famiglia o dell'amicizia fraterna, perché neanche su quelli si può contare (notevolissima la scena iniziale): tutti contro tutti in nome di un fragilissimo potere e dei soldi facili, come se la gran quantità di denaro in circolazione riuscisse a portare un vero benessere o miglioramento nelle proprie condizioni di vita: al contrario, anche i boss vivono nel -e fanno parte dello – squallore/degrado (oltre a generarlo ed incoraggiarlo) che tutto ricopre. Niente ha un senso, che non sia quello della prevaricazione per il gusto della prevaricazione, dell’effimero potere fine a se stesso, o – per chi è preso in mezzo – dell’ambizione alla pura sopravvivenza giornaliera.
Il regista Garrone usa molto la luce naturale e la macchina in movimento, a mano, ma mai con pretese artsy-fartsy (alla Dogma per intenderci), e sempre con il fine esclusivo di trasmettere l’urgenza, l’immediatezza, ma anche la tensione spesso insopportabile di ciò che accade (o che potrebbe accadere, perché in Gomorra non si può essere sicuri di niente e di nessuno), e nessuna musica/colonna sonora se non quella (generalmente neomeoldica) diegetica, proveniente direttamente dalla scena.
Il film è molto più prosciugato del romanzo di Saviano, e non potrebbe essere diversamente. Entrambe due opere da conoscere.
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Non semplice reportage o - come va di moda - docufiction, ma vero ottimo cinema, le tante storie che si alternano senza mai veramente intrecciarsi sono tessere di uno stesso mosaico, "coerenti" pur senza essere collegate, tutte con gli stessi codici di riferimento, la stessa matrice: vite senza alternative di chi è condannato dalla nascita, per il solo fatto di essere nato “lì” piuttosto che altrove; senza valori e senza punti di riferimento, nemmeno quelli del clan o della famiglia o dell'amicizia fraterna, perché neanche su quelli si può contare (notevolissima la scena iniziale): tutti contro tutti in nome di un fragilissimo potere e dei soldi facili, come se la gran quantità di denaro in circolazione riuscisse a portare un vero benessere o miglioramento nelle proprie condizioni di vita: al contrario, anche i boss vivono nel -e fanno parte dello – squallore/degrado (oltre a generarlo ed incoraggiarlo) che tutto ricopre. Niente ha un senso, che non sia quello della prevaricazione per il gusto della prevaricazione, dell’effimero potere fine a se stesso, o – per chi è preso in mezzo – dell’ambizione alla pura sopravvivenza giornaliera.
Il regista Garrone usa molto la luce naturale e la macchina in movimento, a mano, ma mai con pretese artsy-fartsy (alla Dogma per intenderci), e sempre con il fine esclusivo di trasmettere l’urgenza, l’immediatezza, ma anche la tensione spesso insopportabile di ciò che accade (o che potrebbe accadere, perché in Gomorra non si può essere sicuri di niente e di nessuno), e nessuna musica/colonna sonora se non quella (generalmente neomeoldica) diegetica, proveniente direttamente dalla scena.
Il film è molto più prosciugato del romanzo di Saviano, e non potrebbe essere diversamente. Entrambe due opere da conoscere.
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