I love huckabees

ERCOLINO

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Di Copperfield


COPPERFIELD ha scritto:
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Convinto che una serie di incontri casuali con un misterioso portiere abbiano a che fare con i maggiori e più oscuri enigmi della vita, Albert Markovski (Jason Schwartzman) chiede aiuto ad un’agenzia investigativa tutt’altro che convenzionale… una coppia di investigatori metafisici che indagano intrepidamente sui misteri profondi che sono il nucleo della vita intima e segreta dei loro clienti. Le loro indagini diventano, però, un po’ invadenti portando alla luce il rapporto conflittuale tra Markovski e Brad Stand (Jude Law), un giovane e rampante dirigente dell’Huckabees, popolare catena di grandi magazzini che vuole sponsorizzare l’Open Spaces Coalition di Albert.

Trama a parte, piuttosto banale e che serve solo da sfondo al messaggio reale del film, siamo decisamente innanzi ad una sceneggiatura schizzoide e visionaria in perfetto Tenenbaum-style.
Tutt o il film è un'unica immensa metafora e denuncia della pochezza dei valori sociali di oggi; viviamo immersi in una gigantesca bolla di sapone, persi in una vita scandita da un continuo bombardamento di falsi messaggi di benessere: apprarire perfetti agli occhi degli altri; conquistare vertici aziendali prima e a danno degli altri; tentare in ogni modo di soddisfare i propri bisogni (o ciò che noi percepiamo come tali) consumistici senza chiedersi o preoccuparsi del fatto che gran parte degli attuali oggetti di culto (immagine, denaro, vestiti, cellulari e quant'altro ci viene offerto dalle sirene delle moderne società "civili") derivano spesso dalle sofferenze degli altri.
Schiacciati da ritmi e valori in cui spesso non ci riconosciamo o che non ci appartengono, ma con i quali dobbiamo - per necessità - convivere. E così c'è chi, per sfuggire da tutto ciò, si astrae dalla realtà rifugiandosi in un mondo interiore dove sfogare le nostre insoddisfazioni, dove prevaricare senza appello i nostri avversari imbattibili nella realtà; un mondo dove però tutto riprende la sua giusta posizione; dove scopriamo di essere uguali e forse anche migliori di coloro che una collettività superficiale e narcotizzata giudica come "modelli da seguire"; un mondo dove tutti noi troviamo un alter ego che combattiamo ma che, al contempo, ci completa. E finiamo così con lo scoprire che i nostri timori e i nostri problemi, sono anche i timori e i problemi degli altri, con il risultato che alla fine, tutti gli equilibri vengono magicamente ricostituiti.

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Innanzitutto chiariamo che il titolo è I Heart Huckabees e non I Love Huckabees. Ricordate tutti Jason Schwartzman, no? Il Max Fischer di Rushmore... Beh, I Heart Huckabees è un film per lui e, in effetti, potrebbe quasi essere un altro capitolo della saga Wes Anderson, magari inserendo la sua solita divisione in capitoli. C'è anche chi, con le sue ragioni, ci ha visto echi di Kaufman; a noi piace propendere per la tesi Anderson, come avrete capito, fosse solo per la divertita gioia complessiva che c'è dietro. Un film che sembra abbozzato e magari lo è, tanto passa veloce veloce fra le convulsioni di una sceneggiatura che, al contrario di quanto ci si possa aspettare leggendo un affrettato riassunto di trama, ha addirittura un filo da seguire. E abbozzato qual è, questo film di David O. Russell (Three Kings) riesce comunque ad intavolare un discorso sui generis su natura, inquinamento, sviluppo commerciale, new-age, frustrazioni lavorative, rapporti interpersonali, insicurezze soggettive includendo i sovracitati punti in una visione filosofica frutto dell'incontro degli opposti alla quale arriviamo seguendo il protagonista che cerca di capire chi sia un misterioso uomo nero. E, naturalmente, la filosofia non esiste se non si ride. Una parabola contemporanea multiforme di godibile comprensione con un cast che a volte sembra scimmiottare sé stesso con soddisfazione: Dustin Hoffman è un altro Focker (la sua signora è Lily Tomlin: come non immaginare al suo posto l'attrice che ci sarebbe se davvero questo fosse un film di Anderson, ovvero Angelica Huston?); Isabelle Huppert fa la sadica nel fango col giovincello, ma senza il piano; Mark Wahlberg fa il pompiere (di qui un collegamento ideale con la perdizione esistenziale post 9/11) ossessionato dall'environmentally-friendly; Naomi Watts passa dai torbidi fasti onirici della Mulholland Drive losangelina alla pubblicità in bikini per la ditta del suo Jude Law.

Voto: ***
 
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