
Willy (Ryan Gosling) è un giovane lanciatissimo procuratore (pubblico ministero) in carriera, ed anzi ha appena saltato la barricata riuscendo ad entrare in un ricco e ambito studio privato.
La sua nuova ricca vita lo attende, ma deve prima sbrigare una formalità: chiudere il suo ultimo caso da procuratore.
Qui il film dà il suo meglio, nel mostrare il giovane procuratore che attraversa distrattamente le fasi dell'istruttoria, troppo sicuro di sè e con la testa altrove, anche perchè il caso sembra davvero una passeggiata: tentato omicidio di una donna da parte del marito, con confessione firmata del marito reo confesso (Anthony Hopkins).
Hopkins, l’imputato, è quasi in disparte in questo inizio film, ma trattandosi di un personaggio di Hopkins sappiamo già che la sua semplice presenza, perfino il suo silenzio, sono quelli del ragno al centro della tela in fase di studio della preda.
La prima parte mi è davvero piaciuta e sembra quasi aprire nuove strade (e dare una boccata d’ossigeno) al giallo processuale: tra l’Hopkins omicida ma irresistibilmente gigione ed il procuratore sbruffone che (colpevolmente) lo sottovaluta davvero non sappiamo per chi “tifare”, né riusciamo davvero a capire cosa abbia in mente Hopkins (sappiamo solo che qualcosa, in mente, ce l'ha).
Peccato poi che il film inizi a scivolare inesorabilmente verso i soliti battutissimi percorsi e verso il più banale dei finali edificanti: il procuratore si ravvede, raddrizza la propria etica e ritrova il senso della dignità e della giustizia (chissà in quale angolo recondito della sua psiche si erano nascoste, finora, per poi emergere al momento giusto), la giustizia trionfa.
Un’occasione (per un ottimo film) buttata al vento; direi di più, un’occasione d’oro presa a calci…
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