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Il regista di matrimoni

andag

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Franco Elica (Castellitto) è un regista in fuga; da un film sui Promessi Sposi che forse (inconsciamente) non ha voglia di fare; da uno scandalo - vero o montato; comunque in fuga.

Quello che segue è un vero turbine di avvenimenti, un turbine onirico, inquietante, paranoico, a cui non viene in aiuto una logica lineare, e che ci lascia continuamente in dubbio su ciò che viene mostrato: in bilico tra la realtà e la paranoia di un regista che mette in discussione se stesso, la propria capacità di immaginazione, il proprio stesso mestiere.
Ed allo stesso modo il film è in bilico (anche) tra l'iperrealismo con cui viene resa la tradizione, e l'"oggi" più attuale, dominato dalle telecamere e dall'onnivisione stile reality. Senza farsi mancare uno sguardo profondamente ironico... grande cinema, secondo me...

****
 
è un film che ho visto qualche tempo fa, ma non lo ricordo con entusiasmo

condivido quanto scrivi, però è un film che oltre a non comprendersi, non emoziona

un film può non avere un senso, però dare emozioni: qui la sua irrazionalità non ha nulla di emozionale, sembra più che altro, che il regista usi un codice criptico che impegna lo spettatore nel tentativo di decodificarlo senza raggiungere una risoluzione

è un'attenzione piena di tensione, pur non essendo un thriller: più in generale non saprei proprio come classificarlo

non ho cultura cinematografica ed è forse la ragione che non me lo ha fatto apprezzare

per cui non esprimo un giudizio, ma consiglio a chi vuole guardarlo, di avere alle spalle una robusta cultura cinematografica
 
Ultima modifica:
Hai ragione a scrivere che il film non emoziona, ma non penso che l'intenzione fosse di emozionare, per lo meno non nel senso generalmente inteso.
Credo che Bellocchio intenda interrogarsi sul cinema (ed il protagonista è un regista in crisi), e lo fa simbolicamente, metaforicamente, interrogandosi sul linguaggio del cinema stesso:

- sul montaggio: come dice il personaggio del principe, il cinema E' montaggio; e l’ultima scena mostra come il montaggio possa smontare e rimontare il significato di una storia;

- sulla “soggettività” o “oggettività” dell’inquadratura, e sul significato che queste definizioni possono ancora avere, soprattutto oggi.

Quasi a chiedersi che senso possa ancora avere, per il cinema, usare il proprio linguaggio per raccontare storie lineari, trame che sono già state raccontate migliaia di volte. Nel suo linguaggio criptico, come giustamente lo definisci tu, mi sembra che Bellocchio voglia avvicinarsi – pure con un universo espressivo diverso- a registi come Lynch o Haneke, che seminano domande più che risposte.
Il che può piacere o no, chiaramente.
Per finire, non penso che sia necessaria una gran cultura cinematografica (se per questo intendi avere visto molti film); più che altro credo serva essere curiosi del cinema e del suo linguaggio.

Del resto mi pare che tu abbia inquadrato abbastanza bene il film. Anche se magari ti è – legittimamente – non piaciuto. D’altra parte sono convinto che si tratti di grande cinema, come ho scritto, e di scene di grande cinema, ma forse non necessariamente di un grandissimo film nel suo insieme… e non è per forza una contraddizione, anche se qui il discorso si farebbe (ancora più) lungo…
 
non sono riuscito ad apprezzarlo. Troppo tecnico, troppo poco interattivo con lo spettatore, spesso lasciato da solo e non coinvolto dalle elucubrazioni, tecniche appunto, del regista.

*
 
«In Italia, sono i morti che comandano». Il più grande morto d'Italia (della cultura letteraria italiana, almeno), dopo Dante, è Manzoni. Sono i due che nelle nostre scuole per anni ancora richiedono l'attenzione di ogni nuova generazione di studenti. Il regista Franco Elica (Sergio Castellitto) sta preparando l'ennesima versione de I promessi sposi: segno di una crisi creativa, o forse palla al piede di chi è cresciuto, mentre il romanzo gli veniva imposto a scuola dalle elementari alle superiori, vedendo I promessi sposi di Camerini al cinema dell'oratorio.

Quello che gli viene chiesto adesso, da Bona di Gravina (Donatella Finocchiaro) è: «E se Lucia non si sposasse più con Renzo ma con l'Innominato?». L'innominato, ci viene detto subito, è lo stesso Elica: una ragazza che fa il provino per la parte di Lucia gli fa subito balzare alla mente l'Innominato di Camerini, Carlo Ninchi, e lui è "mosso a compassione". Per scoprire se alla domanda c'è risposta affermativa deve andare in Sicilia, terra profonda di gattopardiano cattolicesimo, e a portarcelo, istintivamente, sono misteriosi eventi (i carabinieri —Stato, Chiesa, Scuola e Famiglia, non manca nessuno dei poteri patriarcali— perquisiscono la casa di produzione, sul momento non si sa per cosa), fra cui l'urgenza di avvicinarsi ad un altro morto, Orazio Smamma (Gianni Cavina), regista come lui che sapremo ha inscenato il decesso (su suggerimento, guarda caso, di un ex-frate) per vincere finalmente i David che non gli hanno mai dato.

Alla fine di questo film tre facce sorridono, in tre posti diversi, l'una all'altra. Non sono riuscito a ricostruire perfettamente la costruzione del finale, ma forse non ha importanza. Bellocchio, più per intuizione che per incastro, con un fare che è sogghigno, rimette a posto le lancette e le lascia correre di nuovo, e a permetterglielo è un corto circuito narrativo. Dev'essere nel matrimonio che in realtà è un funerale, nella definitiva violazione violenta del sacro (teoricamente) "finché morte non vi separi", che i volti possono intendersi con soddisfazione. Lucia e l'Innominato scappano ("Smamma" è chiaro come invito), hanno sconfitto il sistema. Hanno ammazzato i morti.

***
 
gahan ha scritto:
Non sono riuscito a ricostruire perfettamente la costruzione del finale, ma forse non ha importanza.
Mah, io direi invece che ce l'ha: a me è sembrato il momento chiave del film. Il momento in cui Bellocchio smonta il "giocattolo cinema" davanti ai nostri occhi, allinea i pezzi uno in fila all'altro, e sorridendo con noi, con Elica e con Bona, quasi ci sfotte per aver preso tutto troppo seriamente: è solo cinema, è solo finzione, è solo montaggio: il senso cambia a seconda di come vengano mescolate le carte.

Ed anche il capire perchè la moglie di Baiocco sia così assidua nel propinare ad Elica giacche con la telecamera (di chi sta facendo il gioco? evidentemente del principe... ma perchè?) di colpo non è più così importante: quello che giustifica meravigliosamente il film per tutta la sua durata è proprio la messa in scena del prestige, più che la sua spiegazione.
 
gahan ha scritto:
Sì, infatti mica avevo detto che non ha un senso.
Infatti mica ho scritto che hai scritto che non ha un senso.
Ho scritto che secondo me la de-costruzione finale un'importanza ce l'ha, eccome :D
 
E io infatti non avevo scritto che il finale non aveva importanza: avevo anche scritto quella che secondo me è l'importanza, il corto circuito. Intendevo dire che non è importante ricostruirne "l'incastro", ma "l'intuizione".
 
ok, l'importante è intendersi. Era d'altra parte difficile intuire che ci fosse tutto questo ragionamento, dietro la frase (se non altro molto chiara, almeno quella) "non sono riuscito a ricostruire perfettamente la costruzione del finale, ma forse non ha importanza". :D
Ho solo precisato che di importanza, secondo me, ne ha. Keep it simple. :D
 
Film pesissimo (non ho scritto pessimo, eh...).
Ho fatto veramente fatica ad arrivare alla fine...
Per i miei gusti, che ovviamente spesso non coincidono coi "veri intenditori", faccio fatica ad arrivare all' *1/2
 
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