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La vergogna del vino con i trucioli di legno

andresa

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:eusa_naughty: :eusa_naughty: :eusa_naughty:
Che si arrivasse a questo non ce lo saremmo mai immaginati. Che il Comitato di Gestione dei vini a Bruxelles avanzasse la proposta di utilizzare i trucioli di legno per fare i vini del falegname o i vini di Pinocchio, proprio non ci sta. Ma che razza di Unione è quella che appiattisce ogni differenza, sul cioccolato come sui vini, facendosi tirar la giacca da un’inconfessabile progetto di omologazione che arriva da lontano.

Avevamo sorriso un anno fa quando su Internet fu scoperto un kit venduto in Canada con il quale si poteva fare il Barolo o il Chianti in casa: acqua e polverine e il gioco era fatto: ti davano persino le etichette. Poi tre mesi fa la notizia che i giapponesi avevano trovato il modo per invecchiare i vini precocemente (sic!), mentre già la tentazione del truciolo aveva fatto breccia in California e Australia.

L’Italia del vino a questo punto si sente assediata, dopo aver giocato la carta delle sue diversità, dei suoi vitigni antichi che sarebbero all’incirca mille, contro i quattro o cinque dei cosiddetti «paesi emergenti». E proprio quando anche in casa nostra s’era smesso, da parte dei produttori che orecchiavano tendenze, di far pagare ai consumatori il frutto delle proprie sperimentazioni in barrique, proprio quando la breccia della qualità aveva invaso le cantine piccole e grandi, ecco la mazzata. Sì, certo, qualcuno sarà felice, soprattutto chi è convinto che il vino importante sia quello che sa un po’ di quella vaniglia lasciata dai tannini delle barrique nuove. Coi trucioli risparmierà, e intanto potrà continuare a fare quel vino noioso, «internazionale», talmente perfetto che non ha neppure bisogno di essere buono.

Un giorno un anziano viticoltore mi ha fatto questa osservazione: «Quando il vino non era buono si diceva che sapeva ‘d bosch (leggasi legno)» e in quanto al cosiddetto vino «fatto col bastone», siamo al ventennale di un epilogo che tutti ricordano come lo scandalo del metanolo. E pensare che da un lustro persino in America girano etichette di vino con la scritta «no barrique» mentre a Terzo d’Acqui il gourmet Francesco Battuello ha fatto una Barbera con la polemica dicitura «non allevata in barrique». Figuriamoci coi trucioli.

Ora, partendo dal supposto che il vino che sa di legno non va neanche bene per celebrare la Santa Messa (dev’essere infatti «de gemine vitis e non corruptum»), quello con i trucioli è perlomeno diabolico. Ma lo è nel senso che vuol togliere il gusto dell’individualità, indebolendo quelle diversità di cui l’Italia è ben ricca. Occorre resistere. E chissà che qualche Camera di Commercio che ogni anno dà il benestare ai vini doc e docg non incominci a usare la matita rossa e blu, finalmente, per bocciare quei vini di Pinocchio che adesso vorrebbero la patente europea. Togliamogli almeno 20 punti: il vino al truciolo fa male al gusto e alla cultura: se lo riconosci lo eviti.
lastampa.it
 
Andresa......oramai noi ITALIANI siamo quasi continuamente "umiliati" dalla mancata salvaguardia della qualità da parte della UE.

D'altra parte questa tutela nei nostri criteri qualitativi (dove siamo in testa a livello europeo) non avveniva quando avevamo Prodi Presidente della Commissione....figuriamoci adesso!!!!.
 
una cosa e' certa ,presto finalmente avremo la possibilita' di fare il pieno nella macchina col vino.....:D e usare il surplus dello zucchero per produrre elettricita'........ sperando che la finiscano di sovvenzionarli....con i nostri soldi.....:eusa_wall:
 
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