
Geum-Ja (Yeong-ae Lee) è bella come un angelo. Un angelo che ha reso incredula la nazione quando, a vent'anni, è stata incarcerata per l'omicidio di un bambino. Si è presa la colpa, è stata costretta, per un rapimento andato a finir male: tredici anni di vita in carcere ed una figlia che le è stata tolta e data in adozione. Una volta uscita, mette su l'ombretto rosso sangue per sembrare meno buona e prepara il suo piano. Arrivati alla fine della trilogia di Park Chan-Wook, la sensazione di esser di fronte ad un gran regista e ad un gran progetto è evidente. La vendetta al femminile riassume con estrema eleganza le due precedenti pellicole, già a partire dai temi del rapimento (ancora i rapimenti "buoni" e i rapimenti "cattivi", esattamente come in Sympathy for Mr. Vengeance) e della prigionia (la lunga attesa nel penitenziario per raffreddare il piatto da servire, mutuata dai quindici anni nell'appartamento di Old Boy). Il film è probabilmente il più lucido dei tre, perché vi viene sottratto per esser ricomposto ciò che risaltava maggiormente negli altri: il freddo gioco di rappresentazione simbolica di Mr. Vengeance, l'azione di Old Boy. Quello che rimane è l'essenziale, la sintesi estetica metodica che costruisce le inquadrature con complessità e bellezza rare. C'è la narrazione del secondo unita con gli incastri del primo: la voce narrante (di chi è? Lo sapremo con l'addio finale) richiama flashback e torna al presente, quasi riprendendo all'inizio la sensazione di stordimento di Mr. Vengeance; allo stesso tempo si lascia ad un certo punto spazio alla linearità, ai ritmi più contemplativi, con meno enfasi sul montaggio, del resto sempre nitidamente gestito. La celebrazione del processo e la messa in atto della pena sono lunghe sequenze raggelanti, che fermano il pensiero sul rituale dandoci il tempo di una riflessione interna al film che era di gran lunga più difficile da rintracciare nei precedenti. Figurativamente, la pellicola è come il bianco che apre con i bei titoli di testa: un candore che spiazza molte di quelle che erano certezze. Non ritroviamo, ad esempio, il ribaltamento della vendetta: troviamo semmai una vendetta allargata che si apre maggiormente allo spettatore, una catarsi che si fa collettiva, brutale e pianificata, si accanisce (ancor più atrocemente, perché non vediamo niente) contro il mostro. La trilogia è chiusa da un delicato ed elegantissimo senso di pace, ritrovamento e redenzione, bianca come la neve che cade sulle note di una splendida ninnananna. Per chi scrive, è il migliore dei tre. [TV-ZONE]
Voto: ****
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