Lars e una ragazza tutta sua

andag

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di Craig Gillespie (USA; 2007)
Piccola provincia canadese, gelida ed innevata.
Un giovane uomo (Ryan Gosling), affettivamente bloccato, incapace di relazionarsi con il prossimo (figurarsi con una donna), risolve il problema fidanzandosi con una bambola di gomma - ch presenterà orgoglioso a tutta la (affettuosamente complice) comunità. Segue evoluzione.
Spunto esilissimo, commediola ultraleggera, qualcuno ha scomodato Frank Capra ma direi proprio che non è cosa.
A me ha ricordato piuttosto certe (poco interessanti) commedie basate su un unico pretesto, alla Svegliati Ned; ed anche qui qualche sorriso viene strappato.
Se poi nelle intenzioni il film doveva essere una metafora del superamento della malattia (o dei disturbi) mentale, allora la strada scelta è senz'altro la più comoda, ma anche la più sbagliata perchè non porta da nessuna parte.

Goes without saying, grande successo in sala, e facili entusiasmi su cui il film evidentemente punta (anche se, va detto, non c'è una singola volgarità o caduta di gusto).
Film per tutti, ottima alternativa ai cinepanettoni delle Feste (c'è anche la neve).

*1/2
 
Piccolo film intimista, abbastanza interessante. Più che le commediole inglesi (non mi sembrano entrarci molto: l'umorismo è totalmente diverso per quantità e qualità) direi che siamo più dalle parti del racconto di formazione nella fredda ed alienata provincia americana (mi par di capire che il film è ambientato nel Midwest USA, sebbene girato in Ontario, ma la cosa non è granché importante), con per protagonista il solito ragazzo non ancora entrato nella vera maturità, che deve affrontare le sue piccole rimozioni emotive ed affettive. Più o meno un altro dei recenti La mia vita a Garden State, Elizabethtown, o Lonesome Jim.
 
mah, personalmente non riesco a capire cosa ci sia di interessante in questo film...
Si regge interamente attorno a n. 1 trovatina, che viene sfruttata fino in fondo, con battute da oratorio parrocchiale (come livello), anche se va detto senza la minima volgarità (ma d'altra parte questo è lo specifico dell'umorismo da oratorio)
Il paragone con la (peggiore, ho precisato) commedia inglese, mi è venuto perchè questo film mi ha ricordato fortissimamente Svegliati Ned, sia per l'umorismo di grana semplicissima, da solletico sotto alle ascelle, sia per l'esilità del pretesto.
E sia, diciamolo, per il grande successo presso il pubblico di chi si accontenta.

C'è ben poco di freddo (a parte il clima) o di alienato nell'ambientazione, che anzi ci presenta attorno a Lars una comunità e una galleria di personaggi entusiasta, disneyana, idilliaca, senza la minima profondità (anche qui, Full Monty, Svegliati Ned... you name it...)

E non è corretto dire che siamo dalle parti del racconto di formazione, perchè il protagonista non è connotato come un adolescente o un giovane in crescita ma come uomo disturbato (infatti il fratello, che se ben ricordo è addirittura più giovane, viene ovviamente connotato per contrasto come modello di riferimento a cui ogni persona nel possesso delle proprie facoltà debba aspirare: l'americano adulto sano, per bene, sposato e perfettamente integrato).
Da qui il (vago) sopetto che il film volesse parlare del disturbo mentale e del suo superamento, sospetto che però è meglio scacciare subito, già il film si regge male sulle sue gambe, meglio non caricarlo di pesi che non può assolutamente (e forse in effetti non vuole, ma non è molto chiaro) portare.
 
Gli altri film di cui parlo sono racconti di formazione, e i protagonisti sono tutti dei maturi (immaturi) uomini più o meno nel mezzo dei vent'anni (hai presente, tipo, i giovani d'oggi che non riescono - vogliamo chiamarla malattia? - a crescere?) come quello di questo film. Il fratello, ovviamente, è maggiore (solitamente i protagonisti di questi film hanno un fratello, o una sorella, maggiore). Poi c'è tutto il resto, compresa la donna che lo salva (che in questo caso è sia reale che di plastica), la piccola cittadina, i traumi d'infanzia, i rapporti non chiariti coi parenti (il fratello che l'ha lasciato solo, appunto, più tutta la storia familiare), gli amici buoni della cittadina, un finale di speranza.
 
direi proprio che questo non è considerabile, in nessun modo, un racconto di formazione. Direi che non c'entra assolutamente niente con i film che hai citato (che rientrano in effetti in quel filone ben preciso) perchè il disagio di Lars viene caratterizzato come un disturbo della sua psiche/personalità, non certo come una fase della sua crescita, superabile in quanto tale col passaggio allo stato (ed alle responsabilità) di adulto.
In questo senso il fatto che sia relativamente giovane (ha comunque 27 anni, altra cosa che mi sembra lo ponga un po' fuori dall'ambito del racconto di formazione) è puramente incidentale, e per niente strumentale al racconto ed al suo sviluppo.
Avrebbe potuto avere 40 anni, e sarebbe stato lo stesso film, con lo stesso insopportabile fratello perfetto a mostrargli, col solo esistere, come sta al mondo la gente normale (e con il lieto fine di riuscire ad assomigliargli).

A meno che qualsiasi film in cui un protagonista incontra delle difficoltà, e le supera, sia un racconto di formazione. Allora hai ragione. Questo però fa del 90% del cinema che c'è in giro un racconto di formazione
.
Questo aspetto (formazione sì/no) è comunque secondario, e non è certo il problema del film. Che è anzitutto di non fare ridere; poi di presentare personaggi da cartolina; poi di sottointendere uno strisciante atteggiamento benpensante (nei modelli che propone, senza nemmeno dissimularli un minimo) ed un volemosebbene (dalla psicologa al prete a tutta la comunità nel suo complesso) che per l'eccessiva naiveté si rivela talmente assurdo da non riuscire nemmeno ad essere consolatorio.
 
A me il film è piaciuto perchè ne ho apprezzato il tentativo(riuscito)di trattare il tema della malattia mentale senza stereotipi o caricature grottesche, doppi sensi o ambiguità, ma anzi con un tocco di poesia e leggerezza che non infastidiscono mai lo spettatore.

Il punto di vista si sposta ben presto dal protagonista alla comunità, che piano piano accetta e fa diventare la bambola parte di essa, senza giudicare ma soltanto con la volontà di accogliere quella che tutti impareranno a considerare una persona: si tratta di una metafora forte e e azzeccata sull'accettazione del paradosso, della diversità.

Il film non fa ridere moltissimo perchè semplicemente non è un film comico, lo humor è mai fuori posto e sempre gradevole.
Tuttavia la scena della presentazione alla famiglia è di una comicità elettrizzante.

P.S: A me sembra un vero e proprio romanzo di formazione, laddove con esso s'intenda un percorso evolutivo e spirituale del personaggio che passa dall'alienazione totale della propria personalità fino allo sbocciare di una relazione più vera e concreta, attraverso un percorso fatto di crescita e confronto con gli altri.
L'età non mi sembra un ostacolo all'inquadramento, non necessariamente la formazione deve avere come protagonista un adolescente; formazione significa crescita, nuove esperienze, maturazione e ricerca della propria persona(lità): tutto ciò può avvenire anche in età adulta.
 
sì, certo, come dicevo se ogni film in cui c'è qualcuno che supera degli ostacoli, vince una sfida, reagisce ad una malattia, supera o una serie di sfortunati eventi è un film di formazione, per me non c'è nessun problema, basta che ci intendiamo :D.
Anche perchè il problema certamente non è nell'etichetta che vogliamo/non vogliamo dargli.

Il problema è che se tu mi dici che il film ti è piaciuto, che i personaggi non sono caricature (!: tutta la comunità in cui vive Lars è la caricatura di una comunità di un film di Frank Capra... icon_wink), se hai trovato “elettrizzante” l'umorismo da chierichetto che viene dispensato, se hai visto addirittura una “metafora forte e azzeccata” in quello che secondo me è un ruffianissimo progetto con lieto fine ad orologeria studiato tavolino per i semplici di spirito (e beati loro, sempre siano beati), ecco allora il problema è che forse non abbiamo molto terreno comune su cui discutere…
Allora va bene tutto, viva Svegliati Ned, Full Monty forever…
 
Non è più di moda etichettare come "semplici di spirito" tutti coloro a cui piace un film del genere :icon_rolleyes:
Per il resto vale sempre la similitudine Eastwodiana :D
 
andag ha scritto:
ecco allora il problema è che forse non abbiamo molto terreno comune su cui discutere…
Allora va bene tutto, viva Svegliati Ned, Full Monty forever…
Ecco, pare proprio di no. Anche perché con Full Monty e gli altri questo film non c'entra un'assoluta cippa.
 
SERGIOZIZZA ha scritto:
Non è più di moda etichettare come "semplici di spirito" tutti coloro a cui piace un film del genere...
non mi sono mai preoccupato molto delle mode, preferisco scrivere quello che penso... icon_wink
comunque, se vedi una "metafora forte" in un quadro che dipinge una realtà ruffiana e inesistente (la psicologa che accetta di fingere di curare la bambola, il prete e la comunità che l'accettano in chiesa, il pronto soccorso che la ricovera d'urgenza) e ci blandisce dicendoci quello che vogliamo sentirci dire, che siamo buoni e la gente é meravigliosa; o che tratteggia il disagio mentale come qualcosa che si risolve da solo, o al massimo con un little help from his beautiful friends.. scusa se non mi vengono altri termini.

Ma, come dicevo, non sono nemmeno sicuro se sia giusto attribuire tutte queste intenzioni al film, e sopravvalutarlo appiccicandogli delle Metafore che sono ben al di sopra della sua portata. Forse è più corretto riconoscergli l'insufficienza di prove, e limitarsi a dire che volevano fare una commedia leggera ma purtroppo gli è venuto fuori qualcosa in cui, come dici anche tu, si ride poco.

Ed in questo (solo in questo, come avevo detto) mi ha ricordato i film che ho citato (che come si è affrettato a precisare gahan non c'entrano niente): per l'umorismo innocuo, da sagrestia, all'acqua di rose, da vecchia zia.
Sempre siano beati.
 
Questo film (che non è una commediola in stile inglese) non parla di un uomo malato, se non a un livello superficialissimo. Per capirlo basterebbe prestare la minima attenzione alla cosa più semplice che un film ha per segnalare le proprie intenzioni, ovvero i dialoghi. In particolare basterebbe il dialogo fra la dottoressa/psicologa e il fratello e la di lui moglie. La Dagmar dice di non pensare che Lars sia psicotico o schizofrenico: Lars ha una delusion, dice. E questa sua condizione è evidentemente una metafora per una condizione personale (non solo sua: si pensi ai pupazzi in ufficio) che appunto ha origine in un passato e va elaborata. E', appunto, un racconto di formazione, con la "malattia" (che malattia non è) come metafora. E come dice bene il Zizza, la questione si sposta ben presto alla famiglia e alla comunità. Nello stesso dialogo la psicologa risponde a Gus che le fa "Everyone's gonna laugh at him": "And you...".
 
E' evidente che il film è basato sul disturbo mentale di una persona che ha una percezione alterata della realtà (cos'altro è una persona che soffre di delusions, secondo te? cos'altro sono i problemi mentali, secondo te?) e che infatti è in cura (sia pur indiretta) dalla psicologa (anche se -ipocritamente come tutto il film- il disturbo viene presentato in modo da non essere troppo fastidioso per lo spettatore. "Disturbo sì, ma siamo qui per divertirci, per la miseria")
Se non riesci a capire che è questo il nucleo/pretesto del film, che appunto non parla di formazione nel senso consolidato del genere (la naturale crescita dell'individuo, la shadow line di qualsiasi giovane nel passaggio alla fase di adulto), ma di una persona la cui vita è bloccata da un disturbo mentale (sia pure, ripeto perchè non può essere detto abbastanza, presentato in maniera molto ruffiana), continua pure a chiamarlo racconto di formazione, come dicevo non è questo il punto.

Ed anche il riferimento ad alcune altre commedie, come ho cercato di spiegarti ma evidentemente non hai capito o forse non mi sono spiegato io, proverò a spiegartelo ancora sperando che sia l'ultima volta (ma se hai ancora bisogno stai tranquillo che non mi stanco facilmente): quel paio di titoli che ho citato mi sono venuti in mente per il tipo di approccio al tema, per il tipo di blandissimo umorismo e perchè mi ricordavano un certo tipo di prodotto studiato a tavolino apposta per il grande successo commerciale.
Film (quelli che ho citato) che sono inglesi solo incidentalmente, ma (non credevo fosse necessario precisarlo) non hanno niente della tradizione o dell'umorismo inglese: sono dei format per il pubblico: piccola trovata di base; tono uniformemente ed innocuamente umoristico, sviluppo omogeneo, senza vere tensioni drammatiche, verso il lieto fine.

Non posso non notare, comunque, che a parte contestare il mio tentativo di "classificare" o definire il film, tu non abbia speso una parola sul film in se.
 
andag ha scritto:
E' evidente che il film è basato sul disturbo mentale di una persona che ha una percezione alterata della realtà (cos'altro è una persona che soffre di delusions, secondo te? cos'altro sono i problemi mentali, secondo te?) e che infatti è in cura (sia pur indiretta) dalla psicologa (anche se -ipocritamente come tutto il film- il disturbo viene presentato in modo da non essere troppo fastidioso per lo spettatore. "Disturbo sì, ma siamo qui per divertirci, per la miseria")
Se non riesci a capire che è questo il nucleo/pretesto del film, che appunto non parla di formazione nel senso consolidato del genere (la naturale crescita dell'individuo, la shadow line di qualsiasi giovane nel passaggio alla fase di adulto), ma di una persona la cui vita è bloccata da un disturbo mentale (sia pure, ripeto perchè non può essere detto abbastanza, presentato in maniera molto ruffiana)
Infatti Gli uccelli parla di un'invasione di volatili.
 
bravissimo. Se poi riesci anche a dire qualcosa sul film, potrebbe essere di maggiore interesse, credo, per tutti icon_wink
 
Un giorno lo farò (anche se chiarire che nel film non vanno cercate le cose che dici tu, soprattutto non di ridere come in una commediola di quel genere, già aiuta chi ancora non l'ha visto a farsi un'idea più esatta di cosa il film cerca e fa), forse, perché mi pare il materiale interessante nel film non manchi. Per adesso mi preme precisare solo un'altra cosa per ragioni di tempo.

andag ha scritto:
percezione alterata della realtà (cos'altro è una persona che soffre di delusions, secondo te?
In un altro dialogo, fra Gus e i suoi colleghi a lavoro, uno di loro chiede quale sia la differenza fra una delusion e una hallucination. Gus, che aveva fatto i compiti su Internet (altra cosa: giudicando dai computer e dal giradischi che si vedono nel film, direi che siamo da qualche parte nella metà degli anni '90, più o meno agli albori dell'Internet di grande consumo, e non mi sembra casuale), spiega (ai colleghi e a noi) che è la differenza fra false belief e false perception. Qui il film segnala ancora più chiaramente che la malattia, indipendentemente dalle definizioni tecniche esatte (che interessano relativamente), è appunto un pretesto metaforico: Lars non ha una percezione sbagliata della realtà (infatti la psicologa dice, come il titolo, che la bambola non è pazzia: "She's real, she's right out there"), semmai è convinto, crede di poter raggiungere una soluzione ai suoi problemi reali attraverso quella bambola.
 
gahan ha scritto:
Lars non ha una percezione sbagliata della realtà... semmai è convinto, crede di poter raggiungere una soluzione ai suoi problemi reali attraverso quella bambola.
Infatti, e questo a causa di una percezione sbagliata di cosa sia la realtà. Mi sembra difficile sostenere che vi sia una differenza, se non arrampicandosi sui vetri, appunto

gahan ha scritto:
Qui il film segnala ancora più chiaramente che la malattia, indipendentemente dalle definizioni tecniche esatte (che interessano relativamente), è appunto un pretesto metaforico
che strano, credevo di avere appena letto che non è malato...

Allora, i casi sono due:
o il disturbo mentale è puramente un pretesto, ed allora non possiamo che vedere tutto l'affannarsi (a compiacere Lars) della comunità che come una scusa, un pretesto come dici tu, per fare della commedia su una situazione pazzerella ed imprevedibile (e assolutamente non da prendere sul serio), perchè se togliamo il pretesto non ne rimane nient'altro (ed anche io ero disposto a riconoscergli questa lettura, che mi sembra conceda delle attenuanti al film nel senso che lo rende colpevole soltanto di non essere troppo divertente); anche se l'utilizzo di questo soggetto come puro pretesto, potrebbe essere un po' discutibile;

oppure dobbiamo vederci una metafora, quindi non un puro pretesto ma una scelta precisa, voluta, ed allora la situazione è più penosa proprio perchè la caratterizzazione di tutta la situazione e del suo sviluppo è cialtrona, consolatoria, ruffiana. E la psicologa un personaggio (tranquillizzante, sedativo) da fumetto che forse, chissà, nella realtà verrebbe radiata dall'ordine.
Ma la realtà non si auto-risolve quasi mai nel taralluccismo di questo film, e verrebbe da aggiungerci "per fortuna".

In poche parole: una lettura interessante ci sarebbe potuta essere se lo spunto di base non fosse stato (o non fosse stato trattato come) un puro pretesto.

In altre parole: uno spunto come questo non lo puoi prendere come "pretesto metaforico": o lo sviluppi come metafora, e lo tratti (magari anche restando nella commedia) articolandolo e strutturandolo meglio, senza limitarsi al macchiettismo; o ti limiti a trattarlo come pretesto per commedia (come le altre commedie che mi erano venute in mente), ma anche in questo caso era necessario uno sforzo maggiore per sollevarsi al di sopra del prodotto usa e getta.

Personalmente resto di questa idea: hanno voluto fare un prodotto usa e getta, di grande consumo, che bruciasse in una fiammata con un successo immediato ed effimero (esattamente come la altre commedie che avevo citato, clamorosi successi immediati che, adesso, nessuno si ricorda o si sogna di andare a rivedere), e in questo senso credo che i numeri (come il mio naso mi aveva già mi aveva avvertito all'anteprima italiana) abbiano dato ragione alla produzione.
 
Vabbe', che resti della tua idea l'abbiamo capito. E di questo fatto, a questo punto, possiamo anche disinteressarci totalmente.

La tua risposta conferma quello che, con notevole spirito di insight, ho per scherzo detto prima: siccome qui c'è un protagonista che fa una cosa da matti, per te non può che significare che è matto. Come dire, appunto, che Gli uccelli parla di un'invasione di volatili-- Peccato che, e i pochi esempi che ho fatto lo confermano, il rimanere alla superficie delle cose è il modo sbagliato per capire, per analizzare un film. E se ci si addentra nel film (un film che, al contrario di quanto affermi imperterrito tu, è - ripeto imperterrito io - pieno di piccole cose alle quali guardare) si scopre, ad esempio, che la dottoressa/psicologa viene presentata non come un dio salvifico con la risposta pronta, ma come una mezza ciarlatana: fa anche la psicologa (è nient'altro che un medico generico) perché a quella latitudine di psicologi non ne girano. Lars sta fecendo tutto da solo, dice alla fine: il film è un racconto di formazione, simboleggiato dall'ostacolo che è la bambola (e quindi la "malattia": un pretesto per parlar d'altro, detto anche metafora), nel quale Lars affronta i suoi problemi reali. Lars and the real girl.
 
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