Lars e una ragazza tutta sua

non sono io che resto alla superficie: è il film che lo fa.
E il bello è che proprio quello che scrivi subito dopo ne è la conferma.
Lo so bene che la dottoressa non viene presentata come un personaggio salvifico, è da due pagine che lo scrivo: è una cialtrona, come ho scritto ben prima di te.
E lo so che Lars fa tutto da solo, ed è questa la cosa ancora più cialtrona di questo film: che non dice niente di interessante, ma lo fa prendendoci per il c.ulo tutti quanti, e ripetendoci che il mondo è meraviglioso e le cose vanno a posto da se.
Perchè se il film voleva essere una metafora, e cioè il parlare d'altro, vorrei capire quale è allora il messaggio metaforizzato, se non che la gente è buona, i problemi si risolvono da soli, e tutti possono aspirare a diventare come Gus, il fratello perfetto (ovviamente contrapposto al fratello con problemi). Bella metafora, grazie.
 
Il messaggio? :5eek: "If you wanna send a message, use Western Union".
 
credevo che la metafora fosse un modo per parlare d'altro... di cosa? a quanto pare anche tu ti sei accorto che non parla di niente...
 
Gus non mi sembra tanto perfetto, visto che ha abbandonato il fratello con il padre alcolista, ed il risultato è quello di un ragazzo che non ha mai conosciuto la madre, è stato abbandonato dal fratello e immaginiamo come potrà essere stato trattato da un simile genitore: fin troppo conseguente è la sua dimensione di alterazione della realtà, il suo bisogno di rispondere alle aspettativa della cognata fino al punto di ordinare su Internet una ragazza su misura.

La comunità non è il festival del volemose bene, ma semplicemente un gruppo di persone, che, nonostante le inevitabili diffidenze iniziali, impara a voler bene ed accettare la diversità: vuoi una metafora? il film è metafora della accettazione del paradosso e della diversità, ed è in questa accettazione che avviene la traslazione della vicenda dal protagonista alla collettività, una collettività semplice, in cui il medico generico è costretto a fungere da psicologo, e se a te sembra una farsa, non saprei cosa dirti, come se fosse fuori dal mondo una situazione del genere...:5eek:

I problemi non si risolvono da soli, ma semplicemente il disordine mentale di Lars inizia e finisce nella sua mente, non tutte le malattie mentali necessitano di camicie di forza e psicofarmaci
 
Non sono molto d'accordo con la lettura del Zizza (se non per il primo capoverso), che mi sembra riduttiva non meno di quella di andag: il film non mi sembra una generica lode della "pazzia". Secondo me si va chiaramente oltre.

andag ha scritto:
credevo che la metafora fosse un modo per parlare d'altro... di cosa?
Parlare di qualcosa non vuol dire lanciare un messaggio, grazie a dio. E poi, alla faccia che non ho parlato del film--

gahan ha scritto:
Piccolo film intimista, abbastanza interessante. Più che le commediole inglesi (non mi sembrano entrarci molto: l'umorismo è totalmente diverso per quantità e qualità) direi che siamo più dalle parti del racconto di formazione nella fredda ed alienata provincia americana (mi par di capire che il film è ambientato nel Midwest USA, sebbene girato in Ontario, ma la cosa non è granché importante), con per protagonista il solito ragazzo non ancora entrato nella vera maturità, che deve affrontare le sue piccole rimozioni emotive ed affettive. Più o meno un altro dei recenti La mia vita a Garden State, Elizabethtown, o Lonesome Jim.
Gli altri film di cui parlo sono racconti di formazione, e i protagonisti sono tutti dei maturi (immaturi) uomini più o meno nel mezzo dei vent'anni (hai presente, tipo, i giovani d'oggi che non riescono - vogliamo chiamarla malattia? - a crescere?) come quello di questo film. Il fratello, ovviamente, è maggiore (solitamente i protagonisti di questi film hanno un fratello, o una sorella, maggiore). Poi c'è tutto il resto, compresa la donna che lo salva (che in questo caso è sia reale che di plastica), la piccola cittadina, i traumi d'infanzia, i rapporti non chiariti coi parenti (il fratello che l'ha lasciato solo, appunto, più tutta la storia familiare), gli amici buoni della cittadina, un finale di speranza.
Questo film (che non è una commediola in stile inglese) non parla di un uomo malato, se non a un livello superficialissimo. Per capirlo basterebbe prestare la minima attenzione alla cosa più semplice che un film ha per segnalare le proprie intenzioni, ovvero i dialoghi. In particolare basterebbe il dialogo fra la dottoressa/psicologa e il fratello e la di lui moglie. La Dagmar dice di non pensare che Lars sia psicotico o schizofrenico: Lars ha una delusion, dice. E questa sua condizione è evidentemente una metafora per una condizione personale (non solo sua: si pensi ai pupazzi in ufficio) che appunto ha origine in un passato e va elaborata. E', appunto, un racconto di formazione, con la "malattia" (che malattia non è) come metafora. E come dice bene il Zizza, la questione si sposta ben presto alla famiglia e alla comunità. Nello stesso dialogo la psicologa risponde a Gus che le fa "Everyone's gonna laugh at him": "And you...".
In un altro dialogo, fra Gus e i suoi colleghi a lavoro, uno di loro chiede quale sia la differenza fra una delusion e una hallucination. Gus, che aveva fatto i compiti su Internet (altra cosa: giudicando dai computer e dal giradischi che si vedono nel film, direi che siamo da qualche parte nella metà degli anni '90, più o meno agli albori dell'Internet di grande consumo, e non mi sembra casuale), spiega (ai colleghi e a noi) che è la differenza fra false belief e false perception. Qui il film segnala ancora più chiaramente che la malattia, indipendentemente dalle definizioni tecniche esatte (che interessano relativamente), è appunto un pretesto metaforico: Lars non ha una percezione sbagliata della realtà (infatti la psicologa dice, come il titolo, che la bambola non è pazzia: "She's real, she's right out there"), semmai è convinto, crede di poter raggiungere una soluzione ai suoi problemi reali attraverso quella bambola.
 
@ sergiozizza:
mi spiace, "questa" metafora è la banalizzazione della realtà, non l'accettazione della diversità che (quando è vera) è un percorso comunque non semplice, quando non sofferto, e per avere un vero significato deve essere vissuta ed interiorizzata. Qui abbiamo delle caricature senza dimensioni, dei personaggi senza profondità che vivono un'esistenza senza conflitto. L'accettazione piove dall'alto, senza fatica.
Come metafora, visto che volete insistere sulla metafora, non funziona. Non so in che mondo vivi tu, quello reale è diverso.

SERGIOZIZZA ha scritto:
I problemi non si risolvono da soli, ma semplicemente il disordine mentale di Lars inizia e finisce nella sua mente
scusa, qual'è la differenza? qual'è la differenza rispetto a scrivere che il problema si autorisolve, anzi in effetti non da solo, ma con la compiacenza e la collaborazione di tutta una comunità schierata ad assecondarlo?

Le "colpe" di Gus sono molto relative, indirette; più che vere colpe, sono un senso di colpa, e narrativamente funzionali a giustificare i disturbi di Lars; la colpa vera è del genitore. E Gus viene innegabilmente presentato come il maschio americano medio, spostato con una bella e brava ragazza per bene, forse non perfetto in se e per se ma perfetto come modello proposto, a cui ogni persona nel possesso delle sue facoltà dovrebbe tendere, ed a cui finalmente Lars tenderà dopo esser "guarito", come ci viene fatto capire alla fine.
 
Ultima modifica:
andag ha scritto:
Come metafora, visto che volete insistere sulla metafora, non funziona. Non so in che mondo vivi tu, quello reale è diverso.
Infatti Intrigo internazionale fa schifo perché non è verosimile.
 
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