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*************** SPOILER?
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Un gran bel thriller; bella la traccia dell’inseguimento senza tregua e claustrofobico, inarrivabile la sublime regia dei Coen; bella la scenografia che è un “negativo” di Fargo, stessi spazi immensi, dove il deserto abbagliante si sostituisce alle altrettanto abbaglianti distese di neve… e anche qui, come in Fargo, un detective con ben altri pensieri per la testa, si trova costretto a metterla, la testa, su di un caso di cui farebbe volentieri a meno.
Tutto meravigliosamente bene, quindi; a patto, secondo me, di non volerci per forza appiccicare troppe sovrastrutture, troppe letture secondarie: il delitto senza castigo, il requiem per il romanzo giallo, il mondo reale (squallido, feroce, insensato) impossibile da ricondurre ad uno schema etico in cui bene e male si contrappongano e – auspicabilmente – il bene vinca: sono tutti aspetti presenti, ma che arrivano un po’ fuori tempo massimo per poter rappresentare qualcosa di nuovo e di davvero originale; già dette, e – scusate – in qualche caso anche "dette meglio" se penso a
La Promessa di Sean Penn. Anche del detective
world-weary di Tommy Lee Jones (di cui il film si dimentica per tutta la parte centrale, per ricordarsene nel bel finale), molto difficilmente potremo dire che è la prima volta che lo incontriamo.
Depurato dalla
hype, dall’entusiasmo mediatico a caldo, dal trionfo all’Academy forse frutto, anche questo, di un’emotività un po’ troppo fresca, ciò che resterà nel tempo sarà un fantastico film di genere (ma senz’altro non il migliore dei Coen), pieno di gran cinema dall’inizio alla fine (e al sottofinale, con quel Chigurh che si allontana, zoppicante ed impunito, come Keyser Söze).
***1/2