L’Enel e l’Eni non si toccano più. Via libera ai privati, invece, per Poste e Ferrovie. Non c’è più molta polpa intorno alle partecipazioni statali. La maggior parte delle privatizzazioni che era da fare è stata fatta, anche se restano margini di manovra. Ci sono però alcune aziende in settori veramente strategici come l’energia, vedi l’Eni, o legate alla difesa, vedi Finmeccanica, per cui «l’uscita completa dello Stato dalla proprietà è qualcosa di molto meno semplice e facilmente concepibile di quanto non fosse l’uscita dalla siderurgia, dal settore bancario o altri settori che sono stati completamente privatizzati».
Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa blinda le due aziende energetiche italiane e lo fa nel giorno della sua audizione davanti al Senato. «In Enel ed Eni - ha detto ieri il rappresentante del governo - la partecipazione dello Stato è arrivata al limite al di sotto del quale queste aziende potrebbero correre il rischio di andare incontro a un’offerta pubblica di acquisto». Rosicchiare oltre, insomma, sarebbe pericoloso per gli interessi del Paese.
Non che questo significhi lasciare mano libera alle due aziende. Padoa-Schioppa ha tenuto a precisare che «la ratio ultima della proprietà pubblica è che ci sia un interesse pubblico nel detenerla». Questo significa che se un’impresa resta in mano allo Stato «e dà lauti dividendi che fanno bene al bilancio ma possono far male all’economia, perché magari fanno pagare l’energia più di quanto la fanno pagare altri, può giovare ai conti ma non allo sviluppo economico». Un messaggio indirizzato a Enel ed Eni e al loro monopolio di fatto che il ministro ha voluto esplicitare meglio in seguito: «Sarebbe auspicabile che ci fosse più concorrenza nel settore elettrico».
Per il ministro è ora di mettersi nell’ottica di un sistema di concorrenza «all’interno di un’economia aperta». In questo senso la stagione delle privatizzazioni in Italia è stata una boccata d’ossigeno. Anche per il bilancio dello Stato che ancora oggi presenta «conti in rosso» e fa dell’Italia un’impresa «fortemente indebitata». Grazie alle privatizzazioni, però, negli ultimi 12 anni sono state effettuate 46 operazioni di dismissione relative a 28 aziende per un totale di 96 miliardi di euro di introiti (l’Italia è al secondo posto dopo il Giappone). Un beneficio che ammonta a 125 miliardi di euro se si considera anche il risparmio di interessi sul conseguente minore stock di debito e che ha portato il rapporto deficit/Pil dal 121% del 1994 al 106,4% del 2005.
Il ministro non ha condannato il precedente sistema delle partecipazioni statali che anzi «ha dotato l’Italia di una forza industriale in cui era praticamente assente e ha creato generazioni di dirigenti industriali che nel settore privato sarebbe stato difficile concepire». Ma poi sono cambiate le necessità. «L’ingresso di capitale privato ha un suo significato non solo nel senso che fornisce un’entrata nel conto patrimoniale - ha detto Padoa-Schioppa - ma introduce anche un’ulteriore logica di conformità al mercato e di governo delle imprese che può essere positiva».
Per questo, nonostante oggi la grande stagione delle privatizzazioni sia finita non bisogna comunque abbandonare questa filosofia. Attualmente il dipartimento del tesoro del ministero dell’Economia e delle Finanze ha partecipazioni in 26 società, quattro delle quali quotate in Borsa. Il ministro ha messo sul mercato due aziende aprendo ai privati: Poste e Fs.
lastampa
bene e adesso speriamo che bersani non rompa piu'.........
Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa blinda le due aziende energetiche italiane e lo fa nel giorno della sua audizione davanti al Senato. «In Enel ed Eni - ha detto ieri il rappresentante del governo - la partecipazione dello Stato è arrivata al limite al di sotto del quale queste aziende potrebbero correre il rischio di andare incontro a un’offerta pubblica di acquisto». Rosicchiare oltre, insomma, sarebbe pericoloso per gli interessi del Paese.
Non che questo significhi lasciare mano libera alle due aziende. Padoa-Schioppa ha tenuto a precisare che «la ratio ultima della proprietà pubblica è che ci sia un interesse pubblico nel detenerla». Questo significa che se un’impresa resta in mano allo Stato «e dà lauti dividendi che fanno bene al bilancio ma possono far male all’economia, perché magari fanno pagare l’energia più di quanto la fanno pagare altri, può giovare ai conti ma non allo sviluppo economico». Un messaggio indirizzato a Enel ed Eni e al loro monopolio di fatto che il ministro ha voluto esplicitare meglio in seguito: «Sarebbe auspicabile che ci fosse più concorrenza nel settore elettrico».
Per il ministro è ora di mettersi nell’ottica di un sistema di concorrenza «all’interno di un’economia aperta». In questo senso la stagione delle privatizzazioni in Italia è stata una boccata d’ossigeno. Anche per il bilancio dello Stato che ancora oggi presenta «conti in rosso» e fa dell’Italia un’impresa «fortemente indebitata». Grazie alle privatizzazioni, però, negli ultimi 12 anni sono state effettuate 46 operazioni di dismissione relative a 28 aziende per un totale di 96 miliardi di euro di introiti (l’Italia è al secondo posto dopo il Giappone). Un beneficio che ammonta a 125 miliardi di euro se si considera anche il risparmio di interessi sul conseguente minore stock di debito e che ha portato il rapporto deficit/Pil dal 121% del 1994 al 106,4% del 2005.
Il ministro non ha condannato il precedente sistema delle partecipazioni statali che anzi «ha dotato l’Italia di una forza industriale in cui era praticamente assente e ha creato generazioni di dirigenti industriali che nel settore privato sarebbe stato difficile concepire». Ma poi sono cambiate le necessità. «L’ingresso di capitale privato ha un suo significato non solo nel senso che fornisce un’entrata nel conto patrimoniale - ha detto Padoa-Schioppa - ma introduce anche un’ulteriore logica di conformità al mercato e di governo delle imprese che può essere positiva».
Per questo, nonostante oggi la grande stagione delle privatizzazioni sia finita non bisogna comunque abbandonare questa filosofia. Attualmente il dipartimento del tesoro del ministero dell’Economia e delle Finanze ha partecipazioni in 26 società, quattro delle quali quotate in Borsa. Il ministro ha messo sul mercato due aziende aprendo ai privati: Poste e Fs.
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