
L'ottimo M. Night Shyamalan con questo bel film rinuncia, abbastanza ufficialmente, a "sorprendere": nel senso palindromo dell'affermazione, della rinuncia alla rilevazione/climax/colpo di scena finale; ma anche nel senso di rinunciare a sorprendere cinematograficamente (rispetto a quanto già fatto, rispetto ai suoi precedenti): qui forse più che altrove il suo stile appare come ben codificato.
Parlare del primo aspetto non è di per sè uno "spoiler": l'intenzione di liberarsi dalla responsabilità e dall'aspettativa (che lui stesso aveva ingenerato peraltro) per finali clamorosi o climacici è talmente evidente da essere espicitata, direi proprio esorcizzata, già nelle prime scene (direi anzi -ancora prima- con il bel cielo e le nuvole soffici dei titoli di testa che si fanno progressivamente, impercettibilmente minacciose, e l'altrettanto inquietante crescendo musicale): non c'è nessun attentato, nessun complotto, nessun attacco extraterrestre: si tratta di un gesto improvviso, inatteso, della natura.
Shyamalan non si fa mancare alcuni tocchi di irresistibile umorismo grottesco: quando i protagonisti arrivano in una casa dove tutto è di plastica, non si rendono conto che si tratta della casa "campione" di un centro residenziale in costruzione: l'essere umano è talmente concentrato su se stesso da non riuscire mai ad entrare in sintonia con il proprio ambiente, quale che sia. Elliot/Wahlberg si ritrova a parlare, a chiedere una tregua, proprio ad una pianta di plastica (fantastico); ed allontanandosi dalle case, sul tabellone pubblicitario del centro residenziale campeggia beffarda la fase promozionale: You deserve this!
Questo thriller ecologista si basa quindi su un presupposto semplice, ma forse non così ingenuo o irreale com qualcuno potrebbe pensare.
Che stiamo rovinando il mondo è sotto gli occhi di tutti.
Che il mondo stesso possa ribellarcisi contro improvvisamente, inspiegabilmente e senza alcuna possibilità di contro-reazione da parte nostra non è così assurdo (forse sta già succedendo).
Cinematograficamente, la conseguenza dell'assenza sia di un nemico, sia di una soluzione, annulla la tensione drammatica che può derivare dalla componente della "trama" o della scrittura. Non essendoci una soluzione al problema, non c'è nessuna evoulzione narrativa, e come già detto credo che fosse proprio questa l'intenzione del regista.
In questo che potrebbe essere un limite si rivela anche la grandezza del regista: tutta la forza del film deriva a questo punto dalla capacità di suggestione di Shyamalan, dalla capacità di creare tensione con il fuoricampo, con il senso di minaccia incombente, con il non-detto. E su questo gioca e vince la scommessa, perchè la tensione non cade di un millimetro per tutta l'ora e mezza del film.
Come Hitchcock, Shyamalan ha ormai fissato, "codificato" il proprio mondo. Come dopo gli ultimi suoi (di Shyamalan) film, viene un po' da chiedersi in che direzione potrà andare per non ripetersi. E però, ancora una volta, mentre magari con un angolo della mente ci chiediamo "e adesso?", stiamo parlando di una scommessa vinta, e alla grande.
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