
Superlativo.
Sorrentino prende la storia italiana recente, quasi cronaca, e la plasma con il cinema fino ad ottenere qualcosa che trascende la storia, trascende la cronaca e diventa un grandissimo, autonomo film sul potere.
Il regista non ha paura di osare, rischia e vince con una messa in scena coraggiosissima (per un film italiano, almeno), con la mobilità della cinepresa, mai gratuita; con la fotografia torbida, contrastata; con l'alternarsi di registri - il grandangolo grottesco con cui è spesso inquadrato Andreotti/Servillo, il commento musicale ironico che le accompagna; ma anche la semi-confessione, indirizzata alla moglie, che Andreotti/Servillo rende guardando fisso davanti a se (non proprio in camera) in un crescendo di tensione - vero pezzo di bravura di Servillo; gli elementi visionari/felliniani (il pensiero di Moro- suo tormento ricorrente; le passeggiate insonni nella Roma notturna); la lenta carrellata sul banco dei mafiosi...
I momenti di grande cinema non si contano: dalla iniziale presentazione della corrente andreottiana, evidente e perfetto omaggio a Sergio Leone, con quelle immagini rallentate ed il ricorrente modulare del fischio; alla frequentazione di Chiese oscure e polverose, cui fa da perfetto contraltare l'ingresso (in meravigliosa soggettiva che poi si allarga in una panoramica a 360° per concludersi su Andreotti stesso) nell'aula del maxiprocesso di Palermo, aula che volutamente viene presentata come tempio-laico altrettanto oscuro, altrettanto ieratico delle ben frequentate Chiese.
E vogliamo dimenticare l'incontro con Riina, in una stanza bianca, nel silenzio rotto solo dal ronzìo dei ventilatori, il solenne/fatidico/lento approccio dei due e la musica che parte (malandrina)?
Da uscire di testa.
Si potrebbe fare un elenco lunghissimo: davvero Sorrentino punta forte, e davvero, a mio parere, non sbaglia una mossa, vincendo sempre. Un piccolo neo, un neo di bellezza se vogliamo chiamarlo così, perchè parlare di difetti sarebbe davvero troppo, sono i dialoghi messi in bocca ad Andreotti: che consistono, dall'inizio alla fine, nel puro e semplice saccheggio della sterminata produzione di aforismi, paradossi e battute.
Il che toglie -paradossalmente- un po' di credibilità/interesse al personaggio (per diventare Andreotti, nella sua vita avrà pur dovuto dire qualcosa di più profondo delle sue battute) e tende a dare al film un che di letterario che la messa in scena, puro e vero cinema, non merita.
****1/2
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