Era rivoluzionaria nel profondo, attaccata ai suoi ideali di rispetto della vita delle persone.
E proprio con i vertici democristiani della Rai si scontrò su questo, quando andò in onda “Ma che sera“, mitico programma dell’allora Rete 1. Andò in onda per la prima volta il 4 marzo 1978. Due settimane dopo venne rapito Aldo Moro. E Raffaella proprio non ci stava ad andare in onda a cantare “come è bello far l’amore da Trieste in giù” nella sigla iniziale, mentre l’Italia rimaneva col fiato sospeso per il leader democristiano.
A confessarlo fu proprio lei, anni dopo, in un’intervista a L’Espresso: “Il giorno che rapirono Moro telefonai alla Rai e dissi “vi prego non mandate in onda il mio varietà”. E invece andò in onda lo stesso. Rapivano Moro e io cantavo “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù”. Mi vergognai così tanto che non tornai più in Italia per molto tempo”.
In effetti in Italia ci tornò solo dopo cinque anni di successi all’estero, col programma Millemilioni.
La cifra umana di Raffaella però si misura anche da un episodio avvenuto negli anni successivi. Nella stagione 1986/1987 venne chiamata a condurre Domenica In. Il 12 ottobre 1986 il presidente di Confindustria, Luigi Lucchini, industriale bergamasco, fu intervistato da Raffaella nel suo programma. Lucchini era diventato presidente due anni prima e aveva subito iniziato a legare gli industriali al PSI craxiano, ben disponibile ad offrire alla categoria quella rivincita di classe che gli industriali si stavano prendendo in tutto il mondo (si pensi all’abolizione dei due punti della scala mobile, che scaricò sui lavoratori il costo della riduzione dell’inflazione, mentre la spesa pubblica esplodeva e conduceva i partiti di governo della Prima Repubblica all’estinzione per corruzione).
Lucchini era un padrone vero e proprio, ma sapeva vendersi in pubblico come innovatore, a tratti di sinistra. Quando andò in tv da Raffaella presentandosi come aperto, moderno e progressista, montò la rabbia dei lavoratori dell’acciaieria Bisider, che Lucchini aveva acquisito dall’IRI a condizioni di favore: da mesi conducevano una durissima battaglia contro le condizioni di lavoro indecenti cui la nuova proprietà li aveva sottoposti. La FIOM Brescia diramò un comunicato di denuncia, pensando che la cosa finisse lì.
Non era così. Il giorno stesso la segreteria di Raffaella chiamò il sindacato bresciano e assicurò il medesimo spazio a un lavoratore della Bisider. La domenica successiva, il 19 ottobre, in televisione si presentò Mario Varianti, operaio siderurgico bresciano, che raccontò tutte le ingiustizie e le terribili condizioni di lavoro in fabbrica, arrivando a commuoversi. Una scena che probabilmente non andrà in onda in questi giorni. Le polemiche politiche furono roventi: cosa si era messa in testa la Carrà, dando voce agli operai? Non lo sapeva che eravamo nei “moderni anni ’80” e che persino Milano da “capitale morale” ora era una “città da bere”? In che mondo viveva la Carrà? La sua risposta la diede in un’intervista al Manifesto: “Viviamo in uno stato democratico dove tutti hanno diritto di replica, specie in un programma televisivo che si dichiara popolare e che non deve limitare il suo pubblico ai grandi protagonisti ed escludere quelli che Manzoni chiamava gli umili“.
Inutile dire che la stagione successiva Raffaella non condusse più Domenica In e nessuno in Rai le offrì nulla, tanto da vedersi costretta ad accettare un contratto biennale con la Fininvest di Berlusconi (prima e unica sua volta sulle reti del Biscione).
Ecco, questo è il motivo per cui Raffaella Carrà resterà per sempre la regina della televisione e dello spettacolo: perché non ha mai tradito le sue radici ed è sempre stata dalla parte degli ultimi.