Guardate Barney Clark e rivedete il piccolo Roman Polanski nella Polonia in guerra: il volto di questo dodicenne inglese rende il pensiero di un'evidenza mostruosa. Se Wladyslaw Szpilman era un personaggio nell'ennesimo film sull'olocausto, Oliver Twist è il ragazzo buono nell'ennesima trasposizione del romanzo e paradossalmente potrebbe finire per essere così facilmente etichettato, assieme al pregevole film di "mestiere" magari inserito fra i tanti remake del momento (obbligatorio il paragone col predecessore di David Lean del '48). Ed il mestiere c'è tutto, del migliore: Polanski è soffice e classico, in modo sempre curatissimo ed attento ai particolari, procede seguendo fedelmente la storia e regalando momenti registicamente sublimi (la camera dentro la carrozza che punta sul patibolo in preparazione nel finale fa rabbrividire quella che si alza sulle rovine del ghetto) perfettamente sottolineati da musiche (Rachel Portman), costumi (Anna B. Sheppard), scenografia (Allan Starski) e fotografia (Pawel Edelman). Ma la sola somiglianza del giovane protagonista parla di ben più, di molto più sottile che non il tocco delle dita su di un pianoforte: parla silenzioso come Polanski che si nasconde dicendo di aver voluto fare solo un film per bambini. Non credetegli... Menzione obbligatoria per il Fagin di Ben Kingsley, sotto il trucco di Michele Baylis.
Voto: ****
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