Pensando di farVi cosa gradita e per dare un ulteriorre contributo a cosa significa e cosa è attualmente la Storia in TV, inserisco in questa discussione un estratto dei primi due articoli del Direttore di Storia in Rete Fabio Andriola, (per chi non la conoscesse rivista di ricerca storica cartacea ed on line
www.storiainrete.com), sul ruolo della Storia in TV pubblicati nei numeri 39 (gennaio 2009) e n. 40 (febbraio 2009) della rivista.
Per qualsiasi commento, a parte questa sede naturalmente è anche a disposizione la mail
info@storiainrete.com. I prossimi articoli dell’inchiesta verranno pubblicati nei mesi di Marzo e Aprile prossimi.
Il primo articolo in edicola il 5 gennaio c.a. inizia con una premessa “che è la solita: l'Italia che è un gigante dal punto di vista artistico-storico culturale diventa un nano non appena si cerchi, in un modo qualunque, di trasformare in peso specifico questa dote unica al mondo (…). Ritardi culturali complicati dalla burocrazia; la latitanza degli imprenditori che va a braccetto con un mercato nostrano - in apparenza ? - asfittico; il deficit di progettualità che trae linfa dalla scarsa considerazione dei grandi operatori stranieri abituati a considerare il mercato di acquirenti, neanche troppo sofisticati, e non certo di produttori, men che meno di qualità. (…) Ma quali sono - e dove - gli spazi per i documentari storici? La risposta più semplice riguarda Mediaset: da nessuna parte. (…) : poco spazio alla cultura, nessuno alla Storia.” Aggiunge a dir il vero qualche sporadico tentativo del Cecchi Pavone o della trasmissione “Solaris” ma niente più e riprende “Se il capitolo Mediaset è cosa che si risolve in poche righe non è così per quello RAI. La TV di Stato italiana infatti, pur tra mille ritardi, settarismi e miopie, ha prodotto e produce molti documentari ma continua ad acquistarne troppi all'estero, limitando così gli spazi per l'industria documentaristica italiana. (…) Ma come porsi, da produttori di storia italiani in uno scenario globale se la TV commerciale predominante non si cura del tema e quella di Stato non stimola la produzione nazionale (cosa che invece fa, ad esempio, per il cinema o la fiction)? (…)
A breve la definitiva affermazione del digitale terrestre e il possibile varo di nuove piattaforme satellitari in competizione con Sky, oltre alla diffusione delle web TV ormai già sbarcate sugli schermi casalinghi, porterà ad un allargamento esponenziale dell'offerta di programmi televisivi.
(…) Con quali conseguenze? La prima è che chi potrà darà fondo ai magazzini, per cui saremo sommersi da quello che già è andato in onda. Cosa che del resto già fa, tanto per restare dalle parti di Viale Mazzini, la RAI col suo canale satellitare «Raisat Extra» (canale Sky 120) o il neonato «RAI Edu Storia» (….). «RAI Edu Storia» nei suoi primi mesi di vita ha offerto - solo nella fascia serale - soprattutto puntate della «Storia siamo noi» di Giovanni Minoli (che non a caso, come direttore di RAI Educazione, è il promotore di questa iniziativa) e altro materiale decisamente datato. Detto questo Minoli ha - insieme al difetto di non stimolare la produzione esterna per i motivi che si son già detti - il pregio di avere, comunque, un progetto di comunicazione storica che, facendo leva sull'immenso archivio RAI, punta a raccontare l'Italia e la sua storia. Peccato che la Storia de «La storia siamo noi» sia solo quella del Novecento, anzi soprattutto quella del secondo Novecento: insomma restano fuori oltre venticinque secoli di fatti e personaggi italiani. Un «buco» un po' troppo grosso per chi ha ambizioni di divulgazione storica. Detto questo, il prodotto storico della squadra di Minoli è per forma e contenuti nettamente migliore di quello prodotto da altre realtà RAI. (…) Eppure a disposizione ci sono gli immensi archivi dell'Istituto LUCE, archivi la cui vastità non autorizza a scegliere una immagine a caso: quando, ad esempio, si parla di Mussolini nel 1943 è ammissibile mostrare un Mussolini di 10, 15 anni prima? La Storia richiede precisione che non è pignoleria ma semplicemente informazione corretta, soprattutto quando non si può addurre la scusante della carenza di immagini o quella del poco tempo a disposizione. (…) Anche per la «Grande Storia» la grande storia è solo quella del XX secolo: prima devono essere avvenute solo cose trascurabili... In realtà l'istituto LUCE rappresenta un altro ostacolo allo sviluppo del documentario storico italiano. Un ostacolo perché, offrendo molto materiale su relativamente pochi aspetti (Grande Guerra, Fascismo, periodo coloniale, monarchia, Seconda guerra mondiale, guerra civile, ricostruzione, boom economico...) vellica la pigrizia di autori e registi, indirizzandoli sempre verso i soliti temi. Ed è anche un ostacolo perché la sua privatizzazione ha creato una strozzatura sul fronte produttivo difficilmente aggirabile. (…); il LUCE vende il materiale d'archivio a costi e condizioni comunque sproporzionate rispetto alla realtà del mercato: diverse centinaia di euro per ogni minuto e che devono essere corrisposte ogni volta che il documentario viene messo in onda.
Con i prezzi che corrono non è quindi difficile capire che è un po' complicato montare un documentario di 50 minuti anche con solo 5/10 minuti di filmati di repertorio. Ci sono poi altri esempi da fare: ad esempio quello dei National Archives di Washington dove il materiale è gratuito e si paga solo il riversamento dal master alla cassetta digitale. Chi ottiene il materiale ne diventa proprietario e può fame ciò che vuole. Questo nell'America che molti, in tutti gli schieramenti, hanno per modello, salvo poi non copiarla nelle cose che oggettivamente fa in modo encomiabile e democratico. «Democratico» è il termine giusto perché il LUCE era, di fatto, un archivio pubblico audiovisivo. Con la sua privatizzazione si è fatto in modo che un bene pubblico (in questo caso migliaia di ore di riprese storiche) venisse trattato in termini di «mercato» (anche se, come si è visto, del reale andamento di mercato non si cura) privando così gli italiani del pieno godimento di un patrimonio comune”.
Nel secondo articolo (pubblicato nel numero attualmente in edicola di Febbraio 2009 n. da pag. 40 a pag.46) dopo aver sottolineato i pericoli della “privatizzazione” della cultura e dopo aver effettuato un excursus su Europeana (progetto UE di dar vita ad una immensa biblioteca virtuale dove su 2 milioni di documenti ben il 52% viene dalla Francia e solo l’1% dal nostro Paese -
www.europeana.eu - ) si riprende nell’analisi della attuale situazione della Storia in TV.
“ Se in RAI e a Mediaset sono soprattutto la volontà e la sensibilità a latitare, altrove ci si scontra col vero problema: se si vuol raccontare la Storia, anche quella italiana, è gioco-forza ricorrere alle produzioni straniere, americane e inglesi in primis e poi tedesche e francesi. Su «La7» la Storia ha più spazio che in qualunque altra TV generalista (…)Quello che occorre dire subito è invece un'altra cosa: oltre il 90% del materiale mandato in onda è stato prodotto all'estero. Una constatazione drammatica non solo per la quantità ma anche per la qualità. Infatti, sovente la produzione straniera - specie quella anglosassone - eccede nelle semplificazioni, ignora gli ultimi sviluppi della storiografia scientifica, trascura la coerenza tra testo e immagini ed è vittima di pregiudizi e luoghi comuni, datati e fastidiosi. Questo è dovuto al fatto che praticamente mai - in Italia e all'estero -la Storia per immagini è raccontata da esperti ma da persone «prestate» al tema, magari con una buona preparazione tecnica (regia, montaggio, produzione) ma poche o nulle competenze specifiche (testi, aggiornamento, cura delle ricostruzioni, ricerca immagini...). Il che introduce uno dei tanti capitoli dolorosi, quello rappresentato dai consulenti storici. Degli (spesso ma non sempre) accademici per i quali la TV non è che un elettrodomestico e una fonte di magri compensi per una lettura distratta di un testo superficiale. (….) Frequenti anche le incursioni straniere nella storia italiana, incursioni che sono spesso viziate dai pregiudizi atavici sugli italiani un po' cialtroni, un po' geniali, un po' farabutti. E cosi ci ritroviamo di fronte a paralleli tipo famiglia de' Medici / Clan mafioso o a ricostruzioni dell' Antica Roma dove il tutto si risolveva in sesso e sangue, in battaglie vinte e intrighi di potere (a questo proposito rimandiamo al n. 6 di «Storia In Rete», aprile 2006 dove il servizio di copertina era dedicato ad una fiction di produzione anglosassone su Roma e alle sue vistose storture). Tutto questo ha delle ricadute «a pioggia» che saranno oggetto della prossima puntata di questa inchiesta, dove ci interrogheremo su un altro perché di questa carenza nazionale: e cioè le oggettive difficoltà a produrre (budget, ambientazioni, autorizzazioni, costumi...) video storici in Italia.”.
Come detto, l’inchiesta continuerà nel numero in edicola dal 5 Marzo p.v.