Into the Wild

John Kinsella

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5 Giugno 2006
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Finalmente esce anche in Italia, così me lo potrò andare a rivedere tre mesi dopo la Festa di Roma.
Ragazzi, questo ve lo consiglio assolutamente, uno dei film più belli degli ultimi dieci anni e forse più, lo sto dicendo a tutti, soprattutto in un weekend che sarà dominato da Federico Moccia e il suo filmaccio.

Io sono rimasto incantato e sconvolto quando ho visto questo film e sono convinto che dovrebbe essere visto soprattutto da noi italiani, costretti per la maggior parte del tempo a doverci confrontare con una realtà che diventa ogni giorno più triste.

Vi segnalo un articolo che coglie in pieno l'essenza del film.

http://www.alphabetcity.it/index.php?com=articolo&id=1495

Se in questo fine settimana andrete al cinema, fateci almeno un pensierino, vi assicuro che dopo vi sentirete meglio. Questo è l'effetto che ha fatto a me e mi fa stare bene ogni volta che ci ripenso.
 
Un film stupendo, sì. Lo consiglio caldamente anch'io.
 
ci sono stati dei momenti in cui ho avvertito una leggera insicurezza del film, come se ci fossero attimi non funzionali alla storia, ma fini a sè stessi. Verso il finale però si intravede e ci appare chiaramente tutta la parabola del protagonista. Sui titoli finali ho avvertito quasi un senso di sgomento in sala. Qualche occhio lucido ha rivelato che il film avva colpito là dove doveva.

"la felicità è reale solo se condivisa".
 
Un film enorme, spiazzante. Penn mi è sempre stato sulle palle, anzi non l'ho mai sopportato come attore (non che non sia bravo, eh), ma non gli si può non riconoscere grande coraggio come regista. Con questo film ha fatto un capolavoro totale e pieno. C'è un momento nel film in cui, dal nulla, piomba dal cielo una cosa: il protagonista sta mangiando una mela, e ad un certo punto fa una faccia verso la camera. Sembra non entrarci niente col film, ma alla seconda visione (alla fine della quale ero quasi ridotto in lacrime) mi ha detto: "Guarda questo scemo con la mela: crede di aver trovato l'organicità e invece sta andando a crepare". E allora mi sono trovato a guardarlo in faccia, il giovane ribelle, in quello che pare essere il momento più pieno del suo viaggio. A posteriori quella potrebbe essere la foto del suo ideale. Enorme.
 
Gran film, non so se sia il più bello, ma sicuramente il più emozionante che abbia visto negli ultimi anni.
Forse un pò paradossalmente, i momenti più intensi e puri del film non sono quelli in cui il protagonista si trova alone into the wild, ma quelli in cui riesce ad intrecciare rapporti umani fino a quel momento insospettabili nel contesto in cui egli aveva vissuto.
Toccante e coinvolgente l'incontro con il "nonno" mancato, vicendevolmente di arricchimento quello con la coppia di Hippies.
Spettacolarmente funzionale la colonna sonora di Eddie Vedder; ottima l'idea di renderla accessibile con i sottotitoli.
Magnifica la fotografia, asciutta la regia.
Magnetico. Imperdibile.

*****
 
Davvero molto bello, da non perdere, anche se spesso triste e amaro.
Fa riflettere molto sul senso della nostra vita.
Come è stato giustamente scritto, "Into the Wild è un film da vedere e rivedere, ma soprattutto è un’opera da vivere in ogni sua parte, per provare a ricordare che fine ha fatto l’essere umano che una volta era in ognuno di noi"
*****
 
sì, è un bel film, ma forse la beatificazione in corso (Sean Penn santo subito?) è un po' esagerata.
A me ad esempio erano piaciuti di più sia "La Promessa", sia "Indian runner". Riuscitissima la progressiva (quasi per stadi di conoscenza e di coscienza) presa di possesso del proprio essere e della propria libertà, la graduale immersione nella natura e l'altrettanto progressivo congedo dagli affetti (la ragazza, la famiglia hippie, il vecchio, potenziale padre quale avrebbe potuto essere e non fu) - insomma molto bene tutta quella parte che viene resa -cinematograficamente- alla grande e cioè affidandosi più che ad ogni altra cosa all'occhio (attento, partecipe, curioso, estatico) della cinepresa; un po' meno bene una certa ripetitività con cui viene mostrata la disastrata pregressa vita famigliare (giustamente alternata al racconto della fuga), "disastro" famigliare che non è poi sto gran che (non peggio di tante altre famiglie borghesi, direi) e tutto sommato, nella sua ordinarietà, rischia un po' di svilire il valore di una scelta di vita (che in più di un momento viene presentata come una semplice controreazione, più che una scelta); un po' meno bene anche un certo eccesso di letterarietà che qua e là affiora.

***
 
Essì, sarebbe stato meglio se i genitori fossero stati più drogati o si fossero dati allo scambismo (e magari anche un po' di incesto ci stava): avrebbe reso meglio, sarebbe stato meno ordinario e avrebbe svilito meno.
 
volendo (?) tornare serio (?) :D per un attimo, quello che volevo dire è che questo film è basato su una spinta idealistica ed una scelta personale di per se stesse molto forti, ed infatti secondo me i momenti migliori si hanno proprio quando Alex è da solo nella wilderness. Lì il film veramente si apre, si dispiega, "sentiamo" la scelta di Chris/Alex, e Penn è grande nel riuscire a fare cinema e non solo National Geographic (il rischio c'era).
Una scelta di quel tipo (quella di Alex) deve ovviamente essere conseguenza di una motivazione altrettanto forte; in un certo senso, si autogiustifica ed è autorappresentabile ed autonoma; cercare di sviscerare a tutti i costi questa motivazione è secondo me un piccolo eccesso di zelo.
Non voglio dire (prevengo l'osservazione) che fosse auspicabile un intero film in mezzo alla neve, o che non fosse bello, utile ed anzi necessario l'inquadramento sulla sua vita "precedente".
Però (in certi momenti) emerge un certo didascalismo, una certa verbosità e letterarietà, un'ansia di spiegare (la voce off della sorella, ma anche quella dello stesso Alex, il ritornare sulla difficile situazione famigliare, le onnipresenti citazioni (potevano essere indispensabili al libro, meno al film) a volte esplicitate -ma spesso no- in bocca ad Alex, che di conseguenza sembra a volte parlare come un profeta, o assumere qualche tratto messianico che sinceramente si poteva evitare.

Per essere un film su una persona che sceglie la solitudine e la natura, si parla moltissimo in questi film, si parla quasi continuamente.
Insomma si vuole a tutti i costi spiegare quello che sarebbe stato sufficiente mostrare.
Mi sembra che questo non dia più forza alla storia, anzi.
 
Ultima modifica:
Il punto è che questo non è "un film su una persona che sceglie la solitudine e la natura"; non è un film basato sulla scelta idealistica del ragazzo, non ci vuol far vedere quanto fosse forte, giusta e bella alla luce della straordinarietà della sua esperienza. Il protagonista è anzi un esempio medio della benestante middle-class, delle sue ordinarie aspirazioni, corna e scheletri nell'armadio. E' un ragazzo "normale". La sua scelta, il rifiuto, è la premessa le cui basi vengono spezzettate, rivangate, poi benignamente ma dolorosamente contraddette in uno dei finali più dolenti del recente passato. E' un film sull'impossibilità di star soli.
 
non fare confusione: "l'impossibilità di star soli" emerge solo nel finale, come una rielaborazione e una revisione (ed anche una sconfitta) conclusiva di tutto quanto cercato precedentemente, e certo è il senso ultimo della storia.
E il finale è semplicemente di una bellezza stordente e delirante.

Ma ciò che lo precede, ciò che Alex spera di trovare con la sua "fuga" (ed essendo imbevuto di tutta la letteratura sul tema, da Tolstoj a Zanna Bianca) è invece la purezza, la verità ultima e la saggezza che - secondo lui - possono essere ottenuti soltanto lasciandosi indietro tutto, ma proprio tutto: non è solo il denaro a venire bruciato; anche -più dolorosamente-gli affetti, e l'amore.
Sul significato che la ricerca ha, per Alex, non è possibile equivocare, perchè ci viene ripetuto continuamente. E' a questo che mi riferivo.
 
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