
Dopo Il sesto senso chi guarda un film di Shyamalan è combattuto fra la considerazione di ciò che di quell'esordio rimane, ciò che sembra aver stancato e ciò che sembra aver poco senso: gli scontenti sono iniziati già con Unbreakable - Il predestinato, son continuati con il per certi versi diverso Signs e son permasti con questo film, che appare un ritorno alle origini del finale sorpresa, marchio di fabbrica atteso e magari, dato che ormai siamo avvezzi, intuibile qui con più facilità. Il regista indo-americano ha confezionato un suo genere e l'ha portato avanti con onestà, fra costanti elegantemente e rigorosamente mantenute e varianti capaci di inserire nuove suggestioni, specie sotto un'ottica intepretativa. Per certi versi, dicevo, The Village ricorda da vicino i primi due film del regista; per altri, invece, continua una evoluzione solo soffusamente percepibile iniziata con Signs. Il suo cinema confonde e lascia indizi di intenti non solo a livello sceneggiativo, ma anche tecnico, riportando quelle che sembran sviste o cadute di stile al loro vero significato. Come sempre perfetto e saggiamente discreto nella messa in scena, Shyamalan costruisce un film ricco di risvolti e letture - in grado forse più intenso rispetto ai lavori precedenti - ricavabili oltre la superficie da film di genere, sia in ottica intimista che in ottica sociale. Tutto questo senza intenti dichiarati, senza violenza narrativo-visiva. Per quanto siamo ormai abituati a tutto questo, non riusciamo ancora a farci assopire ed a stancarci della sua incredibile coerenza e abilità. Nel bellissimo cast, positivamente dimesso come lo stesso film (Joaquin Phoenix, William Hurt, Sigourney Weaver, Adrien Brody), spicca per novità e potenza del suo personaggio Bryce Dallas Howard, figlia - ed anche con tutta evidenza, dato il crine - del regista Ron Howard, finora attrice di teatro.
Voto: ****