perché ma?
L'assenza di esclusiva nell'acquisizione dei diritti di trasmissione comporterebbe una fisiologica contrazione dei costi per i fornitori. Conseguentemente, si assisterebbe a una benefica riduzione degli oneri di abbonamento per il fruitore finale.
La scelta di un servizio, non più dettata dalla mera disponibilità di un contenuto esclusivo – come avviene oggi –, verrebbe orientata dalla qualità intrinseca dell'offerta. Si consideri l'analogia con il mercato automobilistico: la preferenza tra una Mercedes e una Dacia non è legata all'esclusività d'accesso a una determinata zona urbana o a specifici percorsi. Entrambe assolvono la funzione primaria di trasporto dal punto A al punto B. Si opta per la Mercedes in virtù della sua affidabilità e prestigio, o per la Dacia per la sua robustezza e economicità. Il mercato automobilistico, infatti, prospera proprio perché nessun costruttore detiene un monopolio sull'accesso alle infrastrutture stradali.
Analogamente, l'utente non sarebbe più vincolato dalle esclusive, ma libero di prediligere il servizio che meglio risponda alle sue esigenze di qualità. Che sia una visione in 4K garantita dalla stabilità di una trasmissione satellitare (es. Sky via satellite), la flessibilità di una fruizione in mobilità tramite piattaforme OTT, o l'efficienza di un'offerta on-demand impeccabile (es. Discovery+), la scelta ricadrebbe sulla performance.
Senza le barriere delle esclusive, il mercato sarebbe occupato dagli operatori più performanti ed efficienti, con un vantaggio inequivocabile per il cliente finale, che godrebbe di servizi migliori e costi più accessibili.
Sorge spontanea una curiosità: l'interesse primario non dovrebbe forse convergere sull'evento sportivo, sul film o sull'intrattenimento in sé, piuttosto che sul logo apposto nell'angolo superiore dello schermo? Da talune argomentazioni, infatti, sembrerebbe che la possibilità di scelta e il potenziale risparmio passino in secondo piano, a favore di una mera fedeltà al brand.