Nella mia
recensione di
Apocalypto, dopo la prima visione, scrivevo che questo film «non sa cosa vuol dire». Chi lo apprezza solitamente tira fuori la solita storia: questo film è null'altro che un semplice film d'avventura. Bisognerebbe poi indagare su questa candida difesa: vorrebbe dire che un film d'avventura non produce null'altro che inseguimenti? Chiaro che no, come non è vero che una "semplice commedia" produce solo battute o situazioni divertenti. Ma tornerò sul punto.
Giustamente anche lo stesso Gibson conferma: «Oddly enough, I just wanted to fashion a really exciting chase». Se non che poi nella stessa
intervista pare dire (come riportato
altrove) che questo film sarebbe addirittura un commento sulla paura instillata dall'amministrazione americana (Bush, quindi) per mantenere il potere. E a leggere l'intervista quasi si è convinti. Anche se si è un po' spiazzati perché non si sa
da quale versione esser convinti. A lume di naso bisognerebbe propendere per la seconda versione, giustificando la prima come questione di opportunità politica delle dichiarazioni dell'autore. Diamo comunque per scontato che Gibson in cuor suo avesse buone intenzioni. Come accade il più delle volte, tuttavia, puoi avere le intenzioni migliori del mondo ma se non scegli bene il come, finisci per produrre qualcosa di quantomeno contraddittorio. Più o meno come le tue dichiarazioni alla stampa. Il minimo che si potrebbe dire di
Apocalypto è appunto che è un film contraddittorio.
Qui, tornando a quanto dicevo in apertura, mi tocca fare una premessa/precisazione che dovrebbe essere ovvia, ma dato il sempre comodo alibi del semplice film d'avventura (lo stesso usato per 300, guarda caso) tocca purtroppo ripetersi: nessun film può sottrarsi all'analisi dei significati (o della "visione del mondo", che se il film è pessimo generalmente è pessima anch'essa, se il film è nullo è nulla anch'essa) che, attraverso la trama e la messa in scena, genera. E
Apocalypto, con tutta evidenza, è sorretto da quella che ormai si può chiamare a buon titolo poetica gibsoniana, che questa piaccia o no.
Seguendo questo film
The Passion, è impossibile non ritrovarci gli stessi topoi stilistici:
Apocalypto è, per dirla in breve, un film in cui predominano piani ravvicinati, soggettive, ralenti e musica misticheggiante. Tematicamente, ad un livello elementare, è come dichiarato un film in cui c'è un protagonista, Zampa di Giaguaro (Rudy Youngblood), che sottoposto a prove che turbano l'equilibrio del suo mondo infine torna all'equilibrio iniziale avendo imparato una lezione. La lezione in sé è chiara, ed è esposta subito mischiandosi ad un tema ricorrente, quello della famiglia, essendo dichiarato dal padre direttamente al figlio: Zampa di Giaguaro deve superare la paura che contamina la sua pace. Per farlo tornerà nella foresta dei padri, dopo aver messo al riparo e poi recuperato la moglie incinta, il neonato ed il primogenito. Il rapporto fra moglie, marito, nascituro e primogenito è quello che meglio viene affrontato, producendo tra l'altro una delle pochissime inquadrature interessanti del film: dopo il discorso dell'anziano del villaggio sulla collina dei padri, padre, madre incinta e primogenito sono distesi a terra, lei orizzontalmente con la pancia al centro del quadro, e padre e figlio (quest'ultimo a testa in giù) sulla sinistra, con la testa appoggiata sulle gambe di lei poco sotto il suo grembo, occupando verticalmente ognuno una metà del campo. Chiaramente, il film esprime valori semplici come appunto quelli della famiglia e della tradizione, ponendo in risalto le figure dei figli (si veda ad esempio la carovana di bambini che segue parallelamente quella degli adulti, uomini e donne separati, fatti prigionieri) come loro naturali eredi. (Anche con un'allegra presa in giro del compagno di villaggio sterile, schernito da tutti in due riprese, più vigliaccamente proprio dal padre dell'eroe, appunto perché non in grado di procreare.)
Stranamente, va rimarcato come la versione in dvd (e presumo dunque anche quella utilizzata nei passaggi televisivi) del film abbia eliso la didascalia d'apertura che si trovava in quella uscita al cinema: «Una grande civiltà viene conquistata dall'esterno solo quando si è distrutta dall'interno», sostituendola con una schermata nera. Questo è un bene per il film. Con l'eliminazione di questo riferimento esterno si stempera l'ambiguità politica del film, dettata dalla lettura di questa frase soprattutto in congiunzione col finale in cui (con
leggera approssimazione dei tempi e dei modi storici, per legittimi —forse poco chiari— fini espressivi) missionari e conquistadores arrivano sulle coste dello Yucatán con spade ed una bella croce in mano. Indipendentemente dal significato esatto di questo finale, sul quale è lecito riflettere essendo questo difficilmente liquidabile come senz'altro "neutro", mi pare ragionevole sostenere quantomeno che la scelta di rappresentare in maniera così diretta lo sbarco dei conquistatori europei, soprattutto mostrando non solo le navi in lontananza ma gli stessi conquistatori (e il prete con la croce), potesse generare (come è stato) spiacevoli malintesi. Senza quella didascalia si evita di imporre una lettura metatestuale messa in bella mostra, e tra l'altro quasi perfettamente in modo speculare al dato da interpretare (didascalia in apertura, arrivo conquistadores in chiusura).
Con l'elisione della didascalia d'apertura il film è anche più giustificato come incentrato predominantemente sull'eroe. È qui, comunque, che i veri problemi del film sono sempre stati. La sua caratterizzazione, incentrata sulla sua paura e sul suo bisogno di vincerla, proprio attraverso la natura delle prove cui è sottoposto, lo presenta, più che come figura allegorica (seguendo le dichiarazioni di Gibson) per una liberazione dall'oppressione del potere che quella paura impone, come una variante del Cristo di
The Passion. Da questo punto di vista, potrà giovare aver eliminato la didascalia d'apertura, ma se non si elimina anche l'episodio della bambina malata che annuncia un oscuro presagio per i Maya "civilizzati" si è fatto ben poco. Cito il monologo della bambina: «Hai paura di me. Ed è giusto che sia così, per tutti voi esseri ignobili. Vorreste sapere come morirete? Il tempo sacro è vicino. Attenti all'oscurità del giorno. Attenti all'uomo che conduce il giaguaro. Guardatelo rinascere dal fango e dalla polvere, perché colui dal quale vi sta portando cancellerà il cielo e graffierà la terra. Vi spazzerà via. E metterà fine al vostro mondo. Lui è con noi adesso».
L'eroe da questo momento farà esattamente quanto predetto: sopravviverà al sacrificio rituale grazie all'intervento di un'eclissi, condurrà (anche se involontariamente, scappando) un giaguaro che farà secco uno dei cattivi, cadrà nel fango e ne riuscirà (risurrezione?) perfettamente agghindato per il combattimento finale (d'altronde è Zampa di Giaguaro, il giaguaro era nero ed è giusto che anche lui sia tinto di nero per la resa dei conti), e condurrà gli Holcane cattivi e decadenti alla spaggia. Ciò che perplime è il riferimento a "colui" dal quale Zampa di Giaguaro conduce gli Holcane, colui che completerà il lavoro spazzandoli via. Chi sarebbe questo "lui" che adesso è "con loro" (intendendo per loro i Maya non Holcane, quelli cui appartiene la bambina e cui appartiene anche Zampa di Giaguaro, quelli buoni), che metterà fine al loro mondo? A leggere queste parole si fa davvero fatica a non dar credito a chi vede nell'arrivo degli Spagnoli una valenza salvifica: che quella croce nelle salde mani del missionario sia "lui", Dio? Il fatto che l'eroe torni nella foresta scappando da un progresso per colpa del quale «la terra sanguina», e non si pronunci sulle navi, non aiuta a togliere il dubbio.
Ma al di là di questo (anzi, dovrei dire, a riprova di questo), è la poetica stilistica di Gibson che genera uno sguardo ambiguo e in ultima istanza manicheo, reazionario. Si prenda l'uso delle soggettive. Gibson, al di là dell'uso predominante che serve all'immedesimazione con l'eroe attraverso quanto vede durante il viaggio, le utilizza in maniera del tutto casuale in relazione ad altri ed altro: nella scena dell'inseguimento del cinghiale, ad esempio, vediamo tre semi-soggettive del cinghiale; ci sono poi le soggettive e semi-soggettive dei guerrieri Holcane che ascoltano terrificati la profezia della bambina, o l'esempio peggiore più in avanti che è la soggettiva della testa mozzata che cade durante il rito sacrificale. Gibson non adotta mai uno sguardo certo su quello che narra, il più delle volte (specie nelle scene di inseguimenti) si limita a dare un'impressione confusa di movimento ed enfatizza ad ogni passo, per primo attraverso l'uso abbondante del ralenti (vedasi l'uccisione del padre dell'eroe), l'appariscenza del dettaglio lugubre (sintomatica la descrizione della città, tralasciando sull'accuratezza della ricostruzione) cercando una reazione puramente alimentare da parte dello spettatore. Il carattere avventizio di questi elementi crea nella sostanza quantomeno una confusione circa gli intenti e gli esiti ultimi del film, che Gibson dimostra di non saper tenere a bada impegnato com'è a rinunciare ad ogni criticità di prospettiva. Quel che mi sentirei di dire con certezza è che abbiamo visto la fuga nella foresta, per tornare alla foresta, di un Cristo Maya, realizzata più o meno come una Via Crucis. E già qui, se mi permettete, al di là della pochezza della fattura, credo sia lecito essere piuttosto scettici.