Avevano avvertito che dopo la tv digitale terrestre sarebbe stato il turno delle radio, ad eleminare le interferenze con gli stati esteri.
Frequenze di confine: in aumento le segnalazione degli altri paese nei confronti dell’Italia
L’argomento di oggi sono le cd.
incompatibilità radioelettriche di confine in FM
cioè  le interferenze provocate alle emissioni estere o da queste subite. In  questa intervista all’avv. Lualdi esamineremo brevemente la controversa  questione.
Negli ultimi tempi si è  riscontrato un inasprimento delle denunce per pretese situazioni  interferenziali avanzate da stati confinanti con l’Italia, in particolar  modo dell’Adriatico. Quali sono le fonti giuridiche che regolano questa  materia?
Premesso che il  Preambolo al Radio Regolamento (RR) rammenta (0.3) che la frequenza è  una risorsa scarsa alla quale tutti i paesi debbono avere accesso su  base di equità, esso stabilisce (0.4) che il R.R. stesso è fondato su di  una serie di principi, tra i quali quello che tutte le stazioni radio  devono essere installate ed esercite in modo da non causare interferenze  dannose ai servizi radio o di comunicazione di altri Paesi membri  operanti in accordo con il medesimo R.R. (n. 197 della Costituzione,  sottoscritta dall’Italia con atto parlamentare). L’art. 4 del R.R.  individua le regole generali per l’assegnazione e l’uso delle frequenze  radio, tra cui la limitazione al numero minimo delle frequenze  necessario per l’ottenimento di una qualità soddisfacente dei servizi  nonché l’assegnazione fatta nel rispetto delle regole stabilite dal R.R.  per quelle frequenze potenzialmente capaci di causare interferenze  dannose a servizi espletati in accordo con il regolamento stesso, le cui  assegnazioni di frequenze risultino già registrate nel Master  International Frequency Register.
 
Ma come viene gestita dal Ministero una segnalazione interferenziale proveniente da uno Stato estero o verso di esso?
 L’art.  8 del R.R. individua lo status di cui gode ogni assegnazione registrato  nel M.I.F.R., mentre l’art. 15 detta le regole generali atte ad  evitare/ridurre l’insorgenza di interferenze ed individua le procedure  per la segnalazione e gli interventi finalizzati alla correzione delle  situazioni interferenziali che possono insorgere nell’espletamento di  servizi radio da parte di differenti paesi. L’art. 23 del R.R., dedicato  espressamente ai servizi di radiodiffusione, stabilisce che, in linea  di principio, le stazioni trasmittenti non debbano impiegare potenze  superiori a quelle strettamente necessarie a mantenere in maniera  economica un efficace servizio nazionale di buona qualità. Le appendici 9  e 10 riportano i formulari sulla base delle quali devono essere  avanzate (da una Amministrazione a quelle confinanti) le segnalazioni di  irregolarità/infrazione ovvero di interferenza dannosa, qualora un  proprio servizio fosse danneggiato nell’espletamento a causa di attività  estere non condotte secondo le norme.
Nei  rapporti tra emittenti “interne” il principio cardine è il  “contraddittorio”, cioè il confronto tra i soggetti interessati  (presunti interferente e presunto interferito). In questo caso non pare  che ciò avvenga.
 
“Le  segnalazioni (che possono naturalmente essere oggetto di discussione  nell’ambito della normale dialettica che si può instaurare tra  Amministrazioni) non possono tuttavia essere invalidate per mancanza di  contraddittorio, in quanto non previsto espressamente da regole  dell’Unione”, spiega sul punto una circolare della D.G.P.G.S.R. del 2012  che in maniera puntuale (anche se a mio modo di vedere non  completamente condivisibile) traccia anche la genesi giuridica e  fattuale della problematica, che affonda le radici nella deplorevole  mancata registrazione a Ginevra da parte del Ministero delle PP.TT degli  impianti eserciti da 4000 radio private nel 1984.
33 anni fa….
Esatto.  L’accordo regionale di Ginevra del 1984 vede un elenco di impianti a  suo tempo notificati e registrati all’UTI ed una serie di regole  stabilite per la relativa modifica (incremento, variazione, cessazione).  L’accordo in questione, benché sottoscritto dall’Italia, non è ancora  stato recepito nell’ordinamento nazionale e ciò (tra le altre cose)  impedisce l’accesso alle regole suddette per incrementare le  registrazioni rispetto a quelle italiane già in atto (ossia quelle degli  impianti RAI esistenti all’epoca). “Tuttavia – ha fatto sapere nel 2012  il Ministero – questa circostanza non può impedire il rispetti dei  diritti costituitisi in capo ai Paesi confinanti, i quali (pertanto)  vanno tutelati nei limiti delle relative registrazioni. Quello che non  appare condividibile (e probabilmente ispirato da considerazioni o  comportamenti non pertinenti allo status di singolo Paese aderente  all’UIT) è la richiesta di protezione al livello minimo decurtato del  rapporto di protezione sui confini, quasi che si volesse ritornare alle  precondizioni adottate in fase di conferenza di pianificazione da cui  scaturirono gli accordi di Ginevra del 1984 e non si vivesse  nell’attuale fase di “manutenzione” che tiene conto di impianti  realmente esistenti da proteggere nelle effettive condizioni di  esercizio.
Ma chi stabilisce quale debba essere il limite massimo di penetrazione nel territorio estero?
Il  concetto di “naturale debordo” per le zone di confine ha efficacia  quando gli impianti sono tutti in regola con le norme di  notifica/registrazione. Ora, tutti gli impianti esteri posizionati in  vicinanza dei confini nazionali appaiono notificati, secondo la  Direzione Generale del Ministero (circolare del 2012) “in condizioni  tali da non rispettare i dettami dell’art. 23 del R.R. per quanto  attiene ai livelli atti allo svolgimento di un servizio interno ottimale  (vuoi per la presenza di interferenze originate in Italia da impianti  non coordinati, vuoi per la possibile concomitante presenza di altre  emissioni estere coordinate che rimangono sconosciute a questa  Amministrazione). Pertanto, l’esercizio dei predetti impianti può  risultare tale da provocare una abnorme estensione del naturale debordo  in territorio italiano, con penalizzazione degli impianti italiani,  anche operanti lontano dai confini e su frequenze viciniori. E’ del  tutto evidente come vi possano essere stati degli eccessi, da parte di  alcune amministrazioni estere, nella notifica di propri impianti,  probabilmente in ragione della totale mancanza di possibilità di  opposizione da parte dell’Italia, visto il mancato recepimento  dell’accordo regionale di Ginevra ’84 nel quadro legislativo nazionale.  Tuttavia, dette notifiche sono ormai non più impugnabili ed i vari  tentativi esperiti al fine di giungere ad accordi bilaterali di  reciproca tolleranza sono falliti nella sostanziale mancanza di una  dimostrazione di buona volontà che, al di là di sporadici casi, non si è  mai manifestata nella generalità dei casi. La normativa italiana posta a  base del rilascio delle concessioni/autorizzazioni all’esercizio della  radiodiffusione è stata sviluppata facendo sostanzialmente astrazione  del rispetto delle regole internazionali per quanto riguarda i rapporti  con i paesi confinanti e tale stato di cose è divenuto via via sempre  più intollerabile per i paesi medesimi. Pertanto, indipendentemente da  quanto contenuto negli atti concessori o di autorizzazione, gli impianti  segnalati come interferenti dovrebbero essere tutti ricondotti a  conformità (in termini di potenza, livelli irradiati nelle direzioni  critiche o frequenza) per rispettare i rapporti di protezione nei  confronti dei livelli delle emissioni estere segnalate come interferite,  indipendentemente dall’eventuale stravolgimento che le modifiche  conseguenti potranno comportare ai delicati equilibri nazionali  costituitisi negli anni (in danno sistematico delle emissioni estere, va  rammentato).Poiché le segnalazioni richiamate in premessa sono  sostanzialmente divise in due gruppi, quello delle interferenze critiche  (o per le quali è richiesta una più urgente soluzione) e quello delle  interferenze meno penalizzanti, si ritiene di dover procedere, in una  prima fase, almeno con le intimazioni ai gestori che sono causa delle  interferenze critiche (anche per dare il segnale di volontà di risolvere  una volta per tutte la questione), mentre le segnalazioni del secondo  gruppo andranno quantomeno depurate da quelle chiaramente strumentali o  inaccettabili (quali, ad esempio, sono i casi di presenza di livelli  reali dei trasmettitori da proteggere di gran lunga più elevati di  quelli minimi e distanze tra le portanti uguali o superiori a 300 KHz e  viene preteso l’aggancio delle protezioni a quelli minimi della racc.  BS-412 per zone urbane, magari anche in occasione di misurazioni  effettuate in zone rurali o isolate e disabitate). Appare infine  manifesto come i contrasti derivanti dall’applicazione d una normativa  non coordinata con le norme internazionali di settore si riverbereranno,  inevitabilmente, anche sul prosieguo delle attività che dovranno essere  svolte ai fini dell’eliminazione delle interferenze in argomento. La  giurisdizione nazionale, infatti, non potrà esimersi dall’applicare e/o  interpretare prescrizioni interne che contengano in sé le origini che  hanno causato la disastrosa situazione che ci si trova ora ad affrontare  ed è a tal proposito che si ritiene indispensabile un parere da parte  della collaterale D.G.S.C.E.R. sulle osservazioni (…) in merito alla  eventuale precedenza che dovrà essere data all’azione amministrativa  centrale rispetto a quella impositiva territoriale”.
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