Stabiese
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La puntata di "ReSTauro" in onda giovedi' 28 aprile alle 19.00 su Rai Storia, su Digitale Terrestre e Tivù Sat, propone Il viaggio di Giovanni XXIII a Loreto e ad Assisi di Vittorio Di Giacomo, Giuseppe Lisi ed Emilio Ravel, quest’ultimo ospite in studio per raccontare, in un’intervista realizzata da Giuseppe Giannotti, dettagli e aneddoti di quel tragitto. Ma anche per una introduzione alla visione del documentario dedicato al primo spostamento in treno effettuato da un pontefice. Un grande avvenimento che segna l’uscita del Papa dai confini della Città Eterna, dopo ben 92 anni, dai tempi della Breccia di Porta Pia. L’eccezionale evento avviene il 4 ottobre 1962, giorno di San Francesco, a una settimana esatta dall’apertura del Concilio Ecumenico II, per il pellegrinaggio ai santuari del patrono d’Italia e della Madonna di Loreto.
Nello speciale Dixit in onda su Raistoria giovedì 28 aprile alle 23.00 su Digitale Terrestre, satellitare free e Tivù Sat che racconta il Pontificato di Karol Wojtyla attraverso le fasi salienti e i documenti filmati che hanno caratterizzato i suoi 26 anni di guida della Chiesa, verrà mostrato un inedito dietro le quinte: un documento filmato per comprendere meglio la personalità poliedrica e complessa di Giovanni Paolo II, nelle fasi del suo pontificato. E per capire come in Karol Wojtyla si sono conciliate la figura dell’uomo di fede, con l’uomo di comunicazione, e’ ospite in studio con Giovanni Minoli, Gianfranco Svidercoschi, giornalista e scrittore, autore di diversi saggi su Giovanni Paolo II e curatore del recente volume “ Dono e mistero”. Come si concilia la figura di Karol Wojtyla, un mistico sulla via di Dio, con le immagini di un uomo di fede ma anche di comunicazione ? “aveva saputo creare in sé una sintesi sorprendente fra contemplazione e azione – dice il vaticanista- Era un uomo di preghiera ma allo stesso tempo da una fede profondamente radicata in Dio.”
E sul suo carisma comunicativo, Svidercoschi spiega che: “aveva fatto teatro, era un uomo che aveva lavorato con le sue mani, era un prete non clericale ma in mezzo alla gente. Ma penso che in fondo ci fosse una grande naturalezza, un istinto che lui non sopprimeva”.
Cosa voleva dire per Giovanni Paolo II essere polacco ? Svidercoschi: “Significava portare tutta la sua esperienza di uomo che aveva vissuto in prima persona, l’inizio della II guerra mondiale. Un papa, un giovane che vive in anticipo il famoso patto Ribbemtrop Molotov. E poi i totalitarismi. Ecco, tutto questo lui l’ha portato sulla cattedra di Pietro”
E su quanto Wojtyla fosse lontano dai suoi predecessori, il vaticanista dice: “aveva la bontà di Giovani XXIII, la contemporaneità di Paolo VI, lo stile aperto e cristallino di Papa Luciani. Però aveva una sua biografia e soprattutto aveva di suo, che ha cominciato a fare il Papa in maniera diversa: non è stato un Papa delle istituzioni, è stato un pastore”.
Durante il periodo della grave malattia si parlava anche di possibili dimissioni del Pontefice.
“Si, e lui lo aveva anche previsto- sottolinea Svidercoschi- Aveva seguito la stessa procedura di Paolo VI, aveva scritto lettere che se non fosse stato in grado di governare più, avrebbe dato le dimissioni. Però dopo ha voluto rimanere al suo posto. Lui diceva a Padre Tucci - lo vedo come sto combinato, ma se mi nascondo, nascondo il mio corpo martoriato, nascondo anche il mio ruolo di Papa, di pastore”.
Un vecchio giovane che contagiava i giovani. Cosi’ e’ stato Giovanni Paolo II “Lui senza sconti sul Vangelo, ricordava dei valori che questi giovani oggi non sentono più parlare né a scuola, né in famiglia, a volte neanche in Chiesa – sottolinea il vaticanista -. Ecco perché questi giovani lo seguivano”.
Per molti la grandezza di Wojtyla è stata anche quella di colmare la sete di sacro. Svidercoschi: “Si, ma soprattutto una richiesta di Paternità. Il sacro riguarda già un aspetto religioso, la paternità riguarda una umanità senza padri, senza punti di riferimento, senza valori, per cui lui faceva prima un discorso da uomo alle persone, voleva coinvolgere tutti e la dimostrazione è quello che è successo ai funerali, dove c’erano anche non credenti”. Comunicato
Nello speciale Dixit in onda su Raistoria giovedì 28 aprile alle 23.00 su Digitale Terrestre, satellitare free e Tivù Sat che racconta il Pontificato di Karol Wojtyla attraverso le fasi salienti e i documenti filmati che hanno caratterizzato i suoi 26 anni di guida della Chiesa, verrà mostrato un inedito dietro le quinte: un documento filmato per comprendere meglio la personalità poliedrica e complessa di Giovanni Paolo II, nelle fasi del suo pontificato. E per capire come in Karol Wojtyla si sono conciliate la figura dell’uomo di fede, con l’uomo di comunicazione, e’ ospite in studio con Giovanni Minoli, Gianfranco Svidercoschi, giornalista e scrittore, autore di diversi saggi su Giovanni Paolo II e curatore del recente volume “ Dono e mistero”. Come si concilia la figura di Karol Wojtyla, un mistico sulla via di Dio, con le immagini di un uomo di fede ma anche di comunicazione ? “aveva saputo creare in sé una sintesi sorprendente fra contemplazione e azione – dice il vaticanista- Era un uomo di preghiera ma allo stesso tempo da una fede profondamente radicata in Dio.”
E sul suo carisma comunicativo, Svidercoschi spiega che: “aveva fatto teatro, era un uomo che aveva lavorato con le sue mani, era un prete non clericale ma in mezzo alla gente. Ma penso che in fondo ci fosse una grande naturalezza, un istinto che lui non sopprimeva”.
Cosa voleva dire per Giovanni Paolo II essere polacco ? Svidercoschi: “Significava portare tutta la sua esperienza di uomo che aveva vissuto in prima persona, l’inizio della II guerra mondiale. Un papa, un giovane che vive in anticipo il famoso patto Ribbemtrop Molotov. E poi i totalitarismi. Ecco, tutto questo lui l’ha portato sulla cattedra di Pietro”
E su quanto Wojtyla fosse lontano dai suoi predecessori, il vaticanista dice: “aveva la bontà di Giovani XXIII, la contemporaneità di Paolo VI, lo stile aperto e cristallino di Papa Luciani. Però aveva una sua biografia e soprattutto aveva di suo, che ha cominciato a fare il Papa in maniera diversa: non è stato un Papa delle istituzioni, è stato un pastore”.
Durante il periodo della grave malattia si parlava anche di possibili dimissioni del Pontefice.
“Si, e lui lo aveva anche previsto- sottolinea Svidercoschi- Aveva seguito la stessa procedura di Paolo VI, aveva scritto lettere che se non fosse stato in grado di governare più, avrebbe dato le dimissioni. Però dopo ha voluto rimanere al suo posto. Lui diceva a Padre Tucci - lo vedo come sto combinato, ma se mi nascondo, nascondo il mio corpo martoriato, nascondo anche il mio ruolo di Papa, di pastore”.
Un vecchio giovane che contagiava i giovani. Cosi’ e’ stato Giovanni Paolo II “Lui senza sconti sul Vangelo, ricordava dei valori che questi giovani oggi non sentono più parlare né a scuola, né in famiglia, a volte neanche in Chiesa – sottolinea il vaticanista -. Ecco perché questi giovani lo seguivano”.
Per molti la grandezza di Wojtyla è stata anche quella di colmare la sete di sacro. Svidercoschi: “Si, ma soprattutto una richiesta di Paternità. Il sacro riguarda già un aspetto religioso, la paternità riguarda una umanità senza padri, senza punti di riferimento, senza valori, per cui lui faceva prima un discorso da uomo alle persone, voleva coinvolgere tutti e la dimostrazione è quello che è successo ai funerali, dove c’erano anche non credenti”. Comunicato