se è per questo, 'Tutta la vita davanti', di Paolo Virzì con Isabella Ragonese ha affrontato questo argomento e soprattutto (e se non ancor più) il problema della precarietà in modo 10 volte più efficace: con leggerezza e profondità insieme (no,non è un ossimoro). Non è stata l'unica commedia che ha affrontato questo argomento,ma forse è una fra quelle più conosciute.
Ci sarebbe tanto da dire all'interno di tutte le considerazioni su come e cosa considerare un film di qualità,sui cinepanettoni,sulle esigenze di svago,sui paragoni con mostri sacri del cinema,sul pubblico italiano che va al cinema,sulle mode e le tendenze in Italia, sui battages pubblicitari martellanti atti a promuovere film che 30-40-50 anni fa neanche si sarebbero presi la briga di produrre, sul tipo di distribuzione cinematografica (rasentante lo squallore), sui criteri con cui viene scelto di vedere un film al cinema, sull'idea che sia più difficile far ridere che far piangere (e si scambiano i Zalone come i Pieraccioni quali comici,ma la comicità è un'altra cosa), sull'idiozia argomentativa di critici come Filippo Mazzarella che arrivano a dire di essere convinti che "nel 2050 i film di Zalone saranno considerati alla stregua di classici come i primi Fantozzi di Villaggio,come i migliori Sordi, i più acuti Totò", sul ritenere "snobistico" qualunque punto di vista differente dalla maggioranza nei confronti della quale sembra sia un obbligo il doversi rapportare accettandone la primazia,ecc,ecc.
Sono dell'idea che la comicità in una commedia è tanto più riuscita quanto più sa essere ironica,sulfurea,possibilmente grottesca e surreale, e sicuramente quando è sanamente cattiva: si pensi a Monicelli e Dino Risi, se ci limitiamo all'Italia. A Billy Wilder o Ernst Lubitsch fuori da essa (per quanto ovviamente due geni come questi ultimi due non si sono solo limitati a far ridere e sorridere ma hanno realizzato delle opere che resteranno, queste sì, ben oltre il 2050, intatte nel loro splendore)