Lo sfogo del direttore uscente di RaiDue, Massimo Liofredi, angosciato dall’imminente giubilazione, è illuminante, ed è solo il più recente tra gli esempi del conflitto d’interessi: “Quando Berlusconi mi chiamò per darmi la guida di RaiDue, non mi chiese niente”, ha rivelato “ad alcuni amici in un corridoio del Policlinico Gemelli, dove è ricoverato il padre”, come riferiva Leandro Palestini ieri su Repubblica.
Il presidente del Consiglio non dovrebbe assegnare la guida di RaiDue, soprattutto trattandosi del proprietario di Mediaset, la principale concorrente della Rai sul mercato televisivo. E infatti tutto questo è vietato dalla legge sul conflitto d’interesse, nota come legge Frattini (ne fu autore l’attuale ministro degli Esteri), più precisamente legge 20 luglio 2004, n. 215.
La legge assegna all’autorità Antitrust la vigilanza sul conflitto d’interessi, e per questo la domanda sorge spontanea: il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, non si è accorto che da oltre due mesi il proprietario di Mediaset è anche ministro delle Comunicazioni?
Claudio Scajola si è dimesso il 4 maggio scorso dal ministero dello Sviluppo economico, che ha assorbito l’ex ministero delle Comunicazioni. Silvio Berlusconi ha assunto l’interim e ancora non ha proceduto a scegliere un responsabile per il dicastero che si occupa, per esempio, di frequenze televisive.
Catricalà, che è un esternatore generoso su quasi tutte le materie di sua competenza, cioè su tutte fuorché il conflitto d’interessi, in questi due mesi non ha detto una parola sul proprietario di Mediaset-ministro delle Comunicazioni. Dicono i maligni che la timidezza di Catricalà sia da attribuire al fatto che nel mirino dovrebbe mettere il proprietario di Mediaset che è lo stesso presidente del Consiglio che nei mesi scorsi doveva affiancarlo a Gianni Letta come sottosegretario a Palazzo Chigi, e che in questi giorni sta valutando se spostarlo alla prestigiosa presidenza della Consob (l’authority sulla Borsa).
L’ultimo intervento pubblico di Catricalà sul conflitto d’interessi risale all’estate scorsa, quando ha chiesto, davanti a una platea di villeggianti a Cortina d’Ampezzo, una legge più chiara.
Infatti quella che molti considerano una forma di pigrizia selettiva del presidente dell’Antitrust può anche essere considerata la dimostrazione dell’abilità con cui sei anni fa Frattini assolse al compito di scrivere una legge sul conflitto d’interessi che in pratica non ha vietato niente.
Lo stesso Catricalà, nella sua relazione annuale del 2009 (quest’anno, forse in considerazione del delicato momento politico, ha ignorato l’argomento), ha detto chiaramente che, con la legge Frattini, “nessuna istruttoria può essere aperta se non in presenza di un atto di governo”. Vediamo che cosa significa con un esempio concreto. Lo scorso 4 giugno, nel trigesimo delle dimissioni di Scajola, il senatore del Pd Vincenzo Vita ha chiesto a Catricalà di intervenire sulla cena, avvenuta il lunedì precedente a villa Gernetto, in Brianza, con la partecipazione di Berlusconi, del neosottosegretario Daniela Santanchè e di diversi investitori pubblicitari. “Il conflitto di interessi è plateale”, protestava Vita.
Il suo appello è rimasto naturalmente lettera morta. L’atto di governo, infatti, non è una cena, o una telefonata, o un cordiale colloquio. È un provvedimento con timbri e ceralacche, un decreto, quanto meno una lettera su carta intestata.
Non solo. Il terzo comma dell’articolo 6 della legge Frattini dice in modo inequivocabile che l’intervento dell’Antitrust può avvenire solo di fronte a specifiche azioni dell’uomo di governo, che abbiano “incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare di cariche di governo, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate [...], con danno per l’interesse pubblico”.
Insomma, la legge vieta all’Antitrust di affrontare il tema del conflitto d’interessi potenziale. Il proprietario di Mediaset può essere serenamente ministro delle Comunicazioni fino a quando non si dimostri che ha compiuto atti di governo contrari al pubblico interesse, e che tali atti abbiano effettivamente prodotto un arricchimento specifico e calcolabile per sé o per i propri familiari. E quanto tutto ciò fosse dimostrato, la legge non prevede alcuna sanzione effettiva.
Nel 2009, leggendo la sua relazione davanti al Parlamento, Catricalà è stato chiaro, spiegando che l’Autorità “può interpretare le norme alla luce della loro ispirazione, ma non modificarle. Si rischierebbe di snaturare ruolo e compiti dell’Antitrust e di pregiudicare quelle caratteristiche di indipendenza che si sono radicate nell’istituzione sin dalla sua genesi”.
Giustamente, all’Antitrust si lavora e non si fa politica, in attesa che qualcuno cambi la legge. In quella nuova bisognerebbe anche inserire la norma che il custode del conflitto d’interessi non sia nominabile a più interessante carica dal vigilato.
Da Il Fatto Quotidiano del 13 luglio 2010